VOLUME 61, N°4 OTTOBRE-DICEMBRE
EDITORIA
Centro Sperimentale per la Promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria
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A Promozione della salute e disuguaglianza
Health promotion and inequality
Carlo Romagnoli
1. La disuguaglianza, fondamentale determinante distale della salute, dilaga sul piano sociale e si
afferma come valore politico. Tutti i rapporti sociali prodotti a diverso titolo e dalle più diverse
istituzioni di ricerca evidenziano con dovizia di dati il crescere delle disuguaglianze: Castells,
Stiglitz, Marazzi, Picketti, Atkinson, Marmot, Sassen, Franzini e Pianta, Fondo Monetario
internazionale ne descrivono un ampio spettro: da quella nei redditi e nei capitali che concentrano
nelle mani dei pochi poteri decisionali sulla vita dei molti, a quella sociale e tra i generi, da quella
nella qualità e quantità della vita in salute e non, a quella nelle esposizione involontarie e non ai
fattori di rischio – dove alle disuguaglianze di oggi si aggiungono quelle con le generazioni future,
che avranno un minor margine di intervento rispetto a noi – per passare alle disuguaglianze nella
esposizione a guerre e forze predatrici globali (1) con il corredo di flussi migratori tanto imponenti
quanto reietti, fino alle disuguaglianze di prospettiva legate alla cattura del sapere sociale da
parte di algoritmi e intelligenze artificiali in mano ai pochi. E l'elenco non è certo esaustivo... Ma
quello che preoccupa di più è la tendenza che caratterizza i processi politici determinati dalla
schiacciante egemonia dei pochi beneficiari delle disuguaglianze: già dalla metà degli anni '90
abbiamo subito una prima fase di torsione dei processi di rappresentanza volta a garantire una
governamentalità funzionale ad imporre ai molti scelte favorevoli ai pochi, tramite personale
politico funzionale ad “una democrazia a trazione elitaria”, secondo l'aforisma suggerito dal
professor Mario Monti, uno che di elites se ne intende. La trazione è stata tanto elitaria da
risultare incompatibile con una redistribuzione democratica dei redditi, consumando velocemente
le formazioni politiche incaricate di volta in volta di “organizzare la miseria” secondo l'aforisma
coniato da Marmot (2), uno che di epidemiologia dei determinanti della disuguaglianza se ne
intende.
A questo dissennato percorso che ha consumato ovunque nel mondo partiti e politici “bypartisan”
corrisponde ora l'emergere di forme di governamentalità tese a imporre la disuguaglianza, con i
pochi che spingono “con ogni mezzo” i molti ai margini sistemici, ispirandosi a visioni
suprematiste del mondo, in forma pura nel caso del muro anti migranti tra Messico e USA o con
un pò di lifting nel caso del respingimento dei migranti nei lager libici, dove occhio non vede e
cuore non duole (vedi al riguardo il bel film di Segre “L'ordine delle cose”).
Così accade che il benessere dei pochi si alimenti del malessere dei molti, l'evidenza scientifica
per i primi non sia di alcun interesse e venga irrisa o nascosta, America first non risulti molto
diverso da Deutschland uber alles, le spese militari in USA possano superare i mille miliardi di
dollari, da noi si acquistino gli F35 che sono aerei da proiezione offensiva, funzione non prevista
dalla nostra Carta Costituzionale, appena salvata dalla attualizzazione che i pochi volevano
imporci: è così che va declinata “la salute in tutte le politiche”?
2. La produzione scientifica che va dalla Carta di Ottawa (1985) a Closing the gap (2008) è
basata sulla fiducia nelle progressive sorti dell'umanità e su un ottimismo progettuale che ricorda
il funzionalismo forte di Talcott Parson ma la cui base materiale è molto più avanzata rispetto agli
anni '60 in cui il sociologo operava, perché nel frattempo si è arricchita di spettacolari sviluppi
delle forze produttive e scientifiche: se il costo marginale di molti beni di ampio consumo tende a
zero, se riusciamo a prevedere la traiettoria di un meteorite nello spazio ed a far atterrare una
sonda su di esso, se si riesce attraverso i big data a conoscere i bisogni di ognuno (purtroppo al
solo fine di fargli offerte commerciali personalizzate, sic!), dare a ciascuno in base ai suoi bisogni
di salute – cioè garantire l'equità nella salute – è un fine per il cui raggiungimento disponiamo di
conoscenze e mezzi appropriati, si tratterebbe “solo” di ridefinire le politiche statali e
intergovernative. Invece arriva la crisi finanziaria del 2008 e con essa la distanza tra i pochi ed i
molti si allunga ancora di più. Gli epidemiologi dotati di una visione sociale si pongono una prima
buona domanda: siamo sicuri che i determinanti sociali della salute siano gli stessi della
disuguaglianza nella salute?
La risposta che viene data è che “i determinanti dell'equità nella salute consistono nel fatto che le
società sono strutturate in diverse posizioni sociali che danno accesso a diversi livelli di risorse
solo per alcuni e che la distribuzione degli individui sulle posizioni sociali segue regole che creano
disuguaglianze nel raggiungere una posizione sociale più favorita” (3). Ne consegue che se non si
interviene sui fattori che incardinano i molti in posizioni sociali di rilevante svantaggio e si insiste
sul solo empowerment dell'individuo non solo non si riduce la disuguaglianza, ma si lascia piena
libertà di azione ai suoi determinanti (vedi articolo “Promozione della equità nella salute e
irresponsabilità sociale delle elites” di Carlo Romagnoli).
Se nella crisi finanziaria l'epidemiologia sociale rafforza la sua caratteristica di sapere indocile, la
crisi ambientale rivela la fragilità del pensiero lineare a favore del pensiero sistemico che a sua
volta si rivela la madre di tutti i saperi indocili: una scienza come la climatologia diviene un incubo
per i sostenitori delle energie fossili e mette in risalto la colpevole ignoranza dei pochi; le scoperte
scientifiche in molti settori tra cui epigenetica, interferenti endocrini, microbioma, neuro psico
endocrino immunologia, ecc. producono evidenze a favore della forte influenza che l'ambiente ha
sullo sviluppo degli organismi viventi e dei pericoli che si corrono agendo sull'ambiente in base ad
un approccio lineare (vedi articolo “Ambiente e disparità sociali: un approccio ecologico alla salute
pubblica” di Carlo Modenesi).
Tutta questa indocilità diviene eccedente, tracima dai confini disciplinari e si fa sapere costituente
che sostiene le ragioni dei molti a livello globale, fino a permeare l'Enciclica Laudato si’, dove
ottiene l'imprimatur della Chiesa cattolica.
Ma non basta, scendono in campo anche alcuni economisti che si pongono una altra buona
domanda: cosa si può fare per ridurre la disuguaglianza?
Picketti e soprattutto Anthony Atkinson (vedi la recensione del suo testo “Disoccupazione. Cosa si
può fare”) vanno a studiare i periodi storici (trenta anni successivi alla seconda guerra mondiale)
e le società con minore disuguaglianza (come l'America latina dal 2000 al 2015) e rilevano che
questa è associata a monte con un efficace presidio da parte dei molti dei luoghi in cui vengono
prese le grandi decisioni economiche e scientifiche, in modo da indirizzarle verso l'interesse
generale, mentre a valle politiche fiscali fortemente progressive permettono di redistribuire salario
indiretto tramite servizi che attenuano le disparità. A loro volta i fisici teorici (4) esaminano le basi
matematiche dei modelli economici che sostengono l'autoregolazione del libero mercato e le oltre
400 pagine del testo di Samuelson (5) che fonderebbero matematicamente le basi scientifiche
della tendenza all'equilibrio dell'economia di mercato non reggono all'analisi critica rivelando che i
modelli sono costruiti con un eccesso di semplificazioni che non trovano riscontro nella concreta e
molto piu complessa realtà sociale in cui i mercati operano. Nè mancano i giuristi di cui riportiamo
l'impegno emerso con la attivazione di una law clinic che assiste i movimenti che lottano su salute
e ambiente all'interno di un percorso didattico sviluppato dalla Cattedra di Diritto privato della
Facoltà di Giurisprudenza di Unipg (vedi articolo “La Law clinic come supporto ai movimenti per la
salute e per l’ambiente. L’esperienza della Facoltà di Giurisprudenza di Perugia” di Giovanni
Landi).
La massa complessiva di questo sapere critico eccede la capacità dei pochi di mettere a tacere i
molti e si assiste ad una osmosi tra movimenti sociali – che attivano processi di deprivatizzazione
attraverso percorsi di (ri)municipalizzazione e di (ri)pubblicizzazione) di cui si trovano puntuali
aggiornamenti nei rapporti di Global Health Watch (http:// www.ghwatch.org/) e di State of Power
(https://www.tni.org/en/publication/state-of- power-2017) – ed una parte sempre più rilevante degli
operatori della conoscenza attivi nelle scienze indocili, che hanno promosso nell'aprile del 2017 la
marcia mondiale degli scienziati in cui si protesta contro la mancata valorizzazione delle scoperte
scientifiche; gli uni e gli altri interagiscono per sottoporre ad una critica tanto radicale quanto
efficace l'ONU e le sue agenzie; qui basterà ricordare la felice contestazione globale che investì
nel 2011 la Dichiarazione sui determinanti globali di salute emanata dall'OMS a Rio de Janeiro, di
cui venne criticata la superficialità analitica e l'insufficienza propositiva. Cosi, ad Helsinky nel
2013 l'OMS prende atto della divergenza tra le politiche auspicate per la promozione della salute
e dell'equità nella salute e quelle effettivamente praticate da molti governi in ossequio ad interessi
economici di pochi (6); sempre nello stesso anno, l'ONU produce il documento “A Million Voice:
The World We Want” (7) dove vengono fissati gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 che
coniugano approccio sistemico, evidenze prodotte dai saperi indocili e interessi generali di noi
molti, producendo finalmente quello che può essere definito come la prima bozza del nostro
programma politico mondiale.
3. Nel mondo dei servizi sociosanitari italiani ed in particolare in quello dei dipartimenti di
prevenzione in cui è stata purtroppo relegata la promozione della salute, la “Salute in tutte le
politiche” è stata assunta nella sua variante depotenziata – empowerment individuale più
intersettorialità come condizione in cui dare spazio ai diversi attori della salute – mentre la sua
caratteristica centrale costitutiva – la produzione di equità nella salute – è rimasta sullo sfondo.
Ora, se si osservano con un minimo di attenzione le più recenti produzioni OMS, si può osservare
come questa si stia impegnando nel formare i responsabili statali e delle entità intergovernative
nell'assumere e mettere a regime politiche che promuovono la salute nell'accezione per cui
questo passaggio si realizza solo se si interviene appropriatamente sui determinanti della
disuguaglianza, con alleanze operative che chiamano in causa sia i movimenti sociali che le
realtà istituzionali territoriali, come a Shanghai (8) dove sono stati riuniti i rappresentanti di 100
grandi città, individuati come importanti player di politiche contro la disuguaglianza nella salute.
Se si osserva la struttura del percorso formativo che l'OMS ha messo a punto per dare qualità alle
politiche statali (9) (di cui riportiamo una sintesi nella sezione Documenti) si trovano tracce di
lavoro molto interessanti che possono a loro volta rappresentare un elemento di riflessione e di
indirizzo per chi ha finalità valutative (a quando una seria e partecipata valutazione e ridefinizione
del Piano nazionale per la Prevenzione?), per chi lavora sul terreno formativo, come il nostro
CeSPES che viene chiamato a verificare se la propria offerta formativa possa arricchirsi con la
assunzione delle indicazioni OMS, ma anche per chi è impegnato ogni giorno nei servizi, nella
scuola e nella società a produrre equità nella salute ai tempi della disuguaglianza crescente.
BIBLIOGRAFIA
1.
Sassen S. Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale. Bologna: Il Mulino;
2015.
2.
Marmot M. La salute diseguale. La sfida di un mondo ingiusto. Roma: Il Pensiero
Scientifico Editore; 2016.
3.
Mackenbach JP. Persistence of social inequalities in modern welfare states: Explanation of
a paradox. J Epidemiol Community Health 2013; May; 67(5): 412-8.
4.
Sylos Labini F. Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi. Bari: Laterza ;
2016.
5.
Samuelson P, Nordhaus WD. Economia. Milano: Feltrinelli; 2014.
6.
OMS Governance for health equity. Taking forward the equity values and goals of Health
2020 in the WHO European Region. Ginevra: OMS; 2013.
7.
United Nations Development Group A million voices: the world we want;
2013.http://www.ohchr.org/Documents/Issues/MDGs/UNDGAMillionVoices.pdf. Accessed
June 29, 2016.
8.
OMS Innovative approach for reviewing national health programmes to leave no one
behind: technical handbook. Ginevra: OMS European Region; 2016.
9.
OMS Health in all policies: training manual. Ginevra: WHO