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VOLUME 61, N°4 OTTOBRE-DICEMBRE
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2017
A Promozione della salute e disuguaglianza Health promotion and inequality  Carlo Romagnoli   1. La disuguaglianza, fondamentale determinante distale della salute, dilaga sul piano sociale e si  afferma come valore politico. Tutti i rapporti sociali prodotti a diverso titolo e dalle più diverse  istituzioni di ricerca evidenziano con dovizia di dati il crescere delle disuguaglianze: Castells,  Stiglitz, Marazzi, Picketti, Atkinson, Marmot, Sassen, Franzini e Pianta, Fondo Monetario  internazionale ne descrivono un ampio spettro: da quella nei redditi e nei capitali che concentrano  nelle mani dei pochi poteri decisionali sulla vita dei molti, a quella sociale e tra i generi, da quella  nella qualità e quantità della vita in salute e non, a quella nelle esposizione involontarie e non ai  fattori di rischio – dove alle disuguaglianze di oggi si aggiungono quelle con le generazioni future,  che avranno un minor margine di intervento rispetto a noi – per passare alle disuguaglianze nella  esposizione a guerre e forze predatrici globali (1) con il corredo di flussi migratori tanto imponenti  quanto reietti, fino alle disuguaglianze di prospettiva legate alla cattura del sapere sociale da  parte di algoritmi e intelligenze artificiali in mano ai pochi. E l'elenco non è certo esaustivo... Ma  quello che preoccupa di più è la tendenza che caratterizza i processi politici determinati dalla  schiacciante egemonia dei pochi beneficiari delle disuguaglianze: già dalla metà degli anni '90  abbiamo subito una prima fase di torsione dei processi di rappresentanza volta a garantire una  governamentalità funzionale ad imporre ai molti scelte favorevoli ai pochi, tramite personale  politico funzionale ad “una democrazia a trazione elitaria”, secondo l'aforisma suggerito dal  professor Mario Monti, uno che di elites se ne intende. La trazione è stata tanto elitaria da  risultare incompatibile con una redistribuzione democratica dei redditi, consumando velocemente  le formazioni politiche incaricate di volta in volta di “organizzare la miseria” secondo l'aforisma  coniato da Marmot (2), uno che di epidemiologia dei determinanti della disuguaglianza se ne  intende.   A questo dissennato percorso che ha consumato ovunque nel mondo partiti e politici “bypartisan”  corrisponde ora l'emergere di forme di governamentalità tese a imporre la disuguaglianza, con i  pochi che spingono “con ogni mezzo” i molti ai margini sistemici, ispirandosi a visioni  suprematiste del mondo, in forma pura nel caso del muro anti migranti tra Messico e USA o con  un pò di lifting nel caso del respingimento dei migranti nei lager libici, dove occhio non vede e  cuore non duole (vedi al riguardo il bel film di Segre “L'ordine delle cose”).   Così accade che il benessere dei pochi si alimenti del malessere dei molti, l'evidenza scientifica  per i primi non sia di alcun interesse e venga irrisa o nascosta, America first non risulti molto  diverso da Deutschland uber alles, le spese militari in USA possano superare i mille miliardi di  dollari, da noi si acquistino gli F35 che sono aerei da proiezione offensiva, funzione non prevista  dalla nostra Carta Costituzionale, appena salvata dalla attualizzazione che i pochi volevano  imporci: è così che va declinata “la salute in tutte le politiche”?   2. La produzione scientifica che va dalla Carta di Ottawa (1985) a Closing the gap (2008) è  basata sulla fiducia nelle progressive sorti dell'umanità e su un ottimismo progettuale che ricorda  il funzionalismo forte di Talcott Parson ma la cui base materiale è molto più avanzata rispetto agli  anni '60 in cui il sociologo operava, perché nel frattempo si è arricchita di spettacolari sviluppi  delle forze produttive e scientifiche: se il costo marginale di molti beni di ampio consumo tende a  zero, se riusciamo a prevedere la traiettoria di un meteorite nello spazio ed a far atterrare una  sonda su di esso, se si riesce attraverso i big data a conoscere i bisogni di ognuno (purtroppo al  solo fine di fargli offerte commerciali personalizzate, sic!), dare a ciascuno in base ai suoi bisogni  di salute – cioè garantire l'equità nella salute – è un fine per il cui raggiungimento disponiamo di  conoscenze e mezzi appropriati, si tratterebbe “solo” di ridefinire le politiche statali e  intergovernative. Invece arriva la crisi finanziaria del 2008 e con essa la distanza tra i pochi ed i  molti si allunga ancora di più. Gli epidemiologi dotati di una visione sociale si pongono una prima  buona domanda: siamo sicuri che i determinanti sociali della salute siano gli stessi della  disuguaglianza nella salute?   La risposta che viene data è che “i determinanti dell'equità nella salute consistono nel fatto che le  società sono strutturate in diverse posizioni sociali che danno accesso a diversi livelli di risorse  solo per alcuni e che la distribuzione degli individui sulle posizioni sociali segue regole che creano  disuguaglianze nel raggiungere una posizione sociale più favorita” (3). Ne consegue che se non si  interviene sui fattori che incardinano i molti in posizioni sociali di rilevante svantaggio e si insiste  sul solo empowerment dell'individuo non solo non si riduce la disuguaglianza, ma si lascia piena  libertà di azione ai suoi determinanti (vedi articolo “Promozione della equità nella salute e  irresponsabilità sociale delle elites” di Carlo Romagnoli).   Se nella crisi finanziaria l'epidemiologia sociale rafforza la sua caratteristica di sapere indocile, la  crisi ambientale rivela la fragilità del pensiero lineare a favore del pensiero sistemico che a sua  volta si rivela la madre di tutti i saperi indocili: una scienza come la climatologia diviene un incubo  per i sostenitori delle energie fossili e mette in risalto la colpevole ignoranza dei pochi; le scoperte  scientifiche in molti settori tra cui epigenetica, interferenti endocrini, microbioma, neuro psico  endocrino immunologia, ecc. producono evidenze a favore della forte influenza che l'ambiente ha  sullo sviluppo degli organismi viventi e dei pericoli che si corrono agendo sull'ambiente in base ad  un approccio lineare (vedi articolo “Ambiente e disparità sociali: un approccio ecologico alla salute  pubblica” di Carlo Modenesi).   Tutta questa indocilità diviene eccedente, tracima dai confini disciplinari e si fa sapere costituente  che sostiene le ragioni dei molti a livello globale, fino a permeare l'Enciclica Laudato si’, dove  ottiene l'imprimatur della Chiesa cattolica.   Ma non basta, scendono in campo anche alcuni economisti che si pongono una altra buona  domanda: cosa si può fare per ridurre la disuguaglianza?   Picketti e soprattutto Anthony Atkinson (vedi la recensione del suo testo “Disoccupazione. Cosa si  può fare”) vanno a studiare i periodi storici (trenta anni successivi alla seconda guerra mondiale)  e le società con minore disuguaglianza (come l'America latina dal 2000 al 2015) e rilevano che  questa è associata a monte con un efficace presidio da parte dei molti dei luoghi in cui vengono  prese le grandi decisioni economiche e scientifiche, in modo da indirizzarle verso l'interesse  generale, mentre a valle politiche fiscali fortemente progressive permettono di redistribuire salario  indiretto tramite servizi che attenuano le disparità. A loro volta i fisici teorici (4) esaminano le basi  matematiche dei modelli economici che sostengono l'autoregolazione del libero mercato e le oltre  400 pagine del testo di Samuelson (5) che fonderebbero matematicamente le basi scientifiche  della tendenza all'equilibrio dell'economia di mercato non reggono all'analisi critica rivelando che i  modelli sono costruiti con un eccesso di semplificazioni che non trovano riscontro nella concreta e  molto piu complessa realtà sociale in cui i mercati operano. Nè mancano i giuristi di cui riportiamo  l'impegno emerso con la attivazione di una law clinic che assiste i movimenti che lottano su salute  e ambiente all'interno di un percorso didattico sviluppato dalla Cattedra di Diritto privato della  Facoltà di Giurisprudenza di Unipg (vedi articolo “La Law clinic come supporto ai movimenti per la  salute e per l’ambiente. L’esperienza della Facoltà di Giurisprudenza di Perugia” di Giovanni  Landi).   La massa complessiva di questo sapere critico eccede la capacità dei pochi di mettere a tacere i  molti e si assiste ad una osmosi tra movimenti sociali – che attivano processi di deprivatizzazione  attraverso percorsi di (ri)municipalizzazione e di (ri)pubblicizzazione) di cui si trovano puntuali  aggiornamenti nei rapporti di Global Health Watch (http:// www.ghwatch.org/) e di State of Power  (https://www.tni.org/en/publication/state-of- power-2017) – ed una parte sempre più rilevante degli  operatori della conoscenza attivi nelle scienze indocili, che hanno promosso nell'aprile del 2017 la  marcia mondiale degli scienziati in cui si protesta contro la mancata valorizzazione delle scoperte  scientifiche; gli uni e gli altri interagiscono per sottoporre ad una critica tanto radicale quanto  efficace l'ONU e le sue agenzie; qui basterà ricordare la felice contestazione globale che investì  nel 2011 la Dichiarazione sui determinanti globali di salute emanata dall'OMS a Rio de Janeiro, di  cui venne criticata la superficialità analitica e l'insufficienza propositiva. Cosi, ad Helsinky nel  2013 l'OMS prende atto della divergenza tra le politiche auspicate per la promozione della salute  e dell'equità nella salute e quelle effettivamente praticate da molti governi in ossequio ad interessi  economici di pochi (6); sempre nello stesso anno, l'ONU produce il documento “A Million Voice:  The World We Want” (7) dove vengono fissati gli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 che  coniugano approccio sistemico, evidenze prodotte dai saperi indocili e interessi generali di noi  molti, producendo finalmente quello che può essere definito come la prima bozza del nostro  programma politico mondiale.   3. Nel mondo dei servizi sociosanitari italiani ed in particolare in quello dei dipartimenti di  prevenzione in cui è stata purtroppo relegata la promozione della salute, la “Salute in tutte le  politiche” è stata assunta nella sua variante depotenziata – empowerment individuale più  intersettorialità come condizione in cui dare spazio ai diversi attori della salute – mentre la sua  caratteristica centrale costitutiva – la produzione di equità nella salute – è rimasta sullo sfondo.   Ora, se si osservano con un minimo di attenzione le più recenti produzioni OMS, si può osservare  come questa si stia impegnando nel formare i responsabili statali e delle entità intergovernative  nell'assumere e mettere a regime politiche che promuovono la salute nell'accezione per cui  questo passaggio si realizza solo se si interviene appropriatamente sui determinanti della  disuguaglianza, con alleanze operative che chiamano in causa sia i movimenti sociali che le  realtà istituzionali territoriali, come a Shanghai (8) dove sono stati riuniti i rappresentanti di 100  grandi città, individuati come importanti player di politiche contro la disuguaglianza nella salute.   Se si osserva la struttura del percorso formativo che l'OMS ha messo a punto per dare qualità alle  politiche statali (9) (di cui riportiamo una sintesi nella sezione Documenti) si trovano tracce di  lavoro molto interessanti che possono a loro volta rappresentare un elemento di riflessione e di  indirizzo per chi ha finalità valutative (a quando una seria e partecipata valutazione e ridefinizione  del Piano nazionale per la Prevenzione?), per chi lavora sul terreno formativo, come il nostro  CeSPES che viene chiamato a verificare se la propria offerta formativa possa arricchirsi con la  assunzione delle indicazioni OMS, ma anche per chi è impegnato ogni giorno nei servizi, nella  scuola e nella società a produrre equità nella salute ai tempi della disuguaglianza crescente.    BIBLIOGRAFIA   1. Sassen S. Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale. Bologna: Il Mulino;  2015.   2. Marmot M. La salute diseguale. La sfida di un mondo ingiusto. Roma: Il Pensiero  Scientifico Editore; 2016. 3. Mackenbach JP. Persistence of social inequalities in modern welfare states: Explanation of  a paradox. J Epidemiol Community Health 2013; May; 67(5): 412-8.   4. Sylos Labini F. Rischio e previsione. Cosa può dirci la scienza sulla crisi. Bari: Laterza ;  2016.   5. Samuelson P, Nordhaus WD. Economia. Milano: Feltrinelli; 2014. 6. OMS Governance for health equity. Taking forward the equity values and goals of Health  2020 in the WHO European Region. Ginevra: OMS; 2013.   7. United Nations Development Group A million voices: the world we want;  2013.http://www.ohchr.org/Documents/Issues/MDGs/UNDGAMillionVoices.pdf. Accessed  June 29, 2016.   8. OMS Innovative approach for reviewing national health programmes to leave no one  behind: technical handbook. Ginevra: OMS European Region; 2016.   9.  OMS Health in all policies: training manual. Ginevra: WHO