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VOLUME 61, N°1 GENNAIO-MARZO
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2017
Educazione digitale per una cittadinanza informata. Quando i nodi vengono al pettine Digital education and informed citizens. Your signs will find you out  Lamberto Briziarelli È da tempo in atto un interessante ed ampia discussione sul“digital divide”, il_gap che separa in  modo esiziale la generazione degli utilizzatori permanenti ed esclusivi degli strumenti digitali e  frequentatori permanenti della rete da quella di coloro che ne sono del tutto esclusi o che ne  fanno un uso limitato, sia per incapacità oggettiva o perché conservano abitudini inveterate, come  l’amore per la carta stampata e fanno ricorso alla rete solo per avere informazioni parti-colari, con  un uso selettivo e cauto.   Tutti siamo più o meno convinti che la generazione degli anzianotti, diciamo così, è senza dubbio  svantaggiata rispetto ai primi, per dover perdere più tempo ma soprattutto per essere spesso  esclusi dall’accesso diretto a molti servizi, pubblici o privati, a seguito dell’informatizzazione di  molte pratiche ed alla sostituzione dei tradizionali sportelli con automatismi vari. Anche da parte  della pubblica amministrazione che dovrebbe al contrario facilitare l’accesso degli utenti aventi  diritto. L’esempio più banale ma più deprecato (e non dai soli vecchi o vecchioni) è quel-lo dei  centralini automatici, che richiedono numerose digitazioni prima di avere la possibilità di essere  serviti o di poter ascoltare la voce di una persona, il mitico e desiderato “operatore”. Le sole voci  umane vere sono quelle degli sfruttati dei “call center” che non rendono servizi ai per-seguitati ma  vogliono solo appioppare qualche prodotto od illusorio vantaggio. E questi sono sempre presenti,  assidui sollecitatori e conversatori, per lo più nell’ora dei pasti o del riposino.  Però, da qualche tempo, si sta lentamente cambiando il giudizio sull’effettiva utilità dell’uso dei  marchingegni moderni e sul futuro sempre più popolato di automatismi e di veri automi che  sostituiranno gli umani. Non dal versante della reale utilità di questi strumenti per molte funzioni  che restano un ausilio importante all’uso del quale dovremo tutti necessariamente abituarci ed  essere dunque digitalmente alfabetizzati ma su uno molto più importante che riguarda le capacità  intellettive, lo sviluppo dell’intelligenza critica.   Molto si è già detto a proposito della necessità di controllare debitamente il tempo che i giovani, e  specie i giovanissimi, passano di fronte ad uno schermo, dalla TV– oramai sempre meno usata –  ai tanti gadget che vanno sotto la voce di smart, onde evitare danni di diversa natura.  Ma ora si sta evidenziando qualcosa di peggio, che ha a che vedere con il rischio di creare un  insieme di individui non socializzanti, che non formano una comunità, di cittadini senza  citta-dinanza, politicamente poco capaci e con ridotte capacità intellettive. Molto si discute già sul  fatto che le nozioni non vengono acquisite con lo studio e l’esercizio della memoria ma facendo  ricorso al semplice piatto pronto, precotto e premasticato, andandole a cercare al momento del  bisogno. Senza sapere ciò che è a monte e il contesto in cui si trova. Non servono più la  tabelli-na, né la tavola di Mendelejev, per fare una moltiplicazione o individuare il peso atomico di  un elemento e il suo posto nell’insieme degli elementi. Tanto è tutto nel web!  Tutto bene, tutto facile, tutto e subito, niente storia, niente geografia, niente latino, né matematica;  perché tanta fatica, a che serve imparare a memoria? Ma spesso i fatti sono diversi da quello che  si immagina e la realtà si mostra, per fortuna, diversa dalla fantasia e dall’illusione, smen-tisce le  scorciatoie facili, ne rivela la fallacia e soprattutto il pericolo.   E così, nel paese più avanzato dal punto di vista della modernità e della balburdie informatica, del  miracolo del cablaggio e dell’iper-tecnologia, in sedi prestigiose si sta elevando un grido di  allarme molto forte e si propone un nuovo processo educativo, di ri-educazione, si potrebbe  meglio dire, della popolazione.  Con la dizione originale “digital literacy-informed citizenship” si sta sviluppando un movimento che  rivendica l’assoluta necessità dello sviluppo di una (nuova) cultura informatica se si vuole  giungere alla formazione di una cittadinanza realmente informata che, al momento, tale non è.  Questa operazione non è il frutto di una proposta illuministica o la riflessione di filosofi utopi-ci, né  l’affermarsi di una nuova religione, bensì prende le mosse dai risultati, come si conviene e si deve  fare, di un’attenta ricerca fatta nell’Università di Stanford, negli USA. Con strumenti adeguati sono  state studiate le nuove generazioni, nate dopo l’introduzione diffusa della digita-lizzazione, il  monde dei cosiddetti “nativi digitali” per evidenziarne le capacità di comprensione e di analisi  riguardo alla massa di informazioni che circolano sulla rete, nei social e in tutte le altre forme di  raccolta e diffusione.  I risultati sono, più che sorprendenti, catastrofici. Una fortissima maggioranza degli studenti  esaminati, totalmente legati agli strumenti informatici e frequentatori abituali, non sono in grado di  giudicare la qualità delle informazioni che utilizzano. Non si parla della quantità di sciocchezze  diffuse a piene mani dai cosiddetti social né delle imprecisioni o inesattezze contenute in molti  contenitori di tipo enciclopedico non soggetti a verifica di qualità, né dell’uso truffaldino del mezzo  a fini di parte o di interesse; si indaga bensì della incapacità dei giovani digitali nativi a  riconoscere le scemenze, le bufale, a discriminare il vero dal falso grossolano. In breve i  ricercatori parlano di riduzione delle capacità intellettive, del mancato sviluppo di un’intelligenza  critica. Poco istruiti, poco acculturati e poco accorti, si potrebbe concludere con qualche  malignità. Se non peggio, soggetti facilmente a inganni e turlupinature, incapaci di operare scelte  autonome,   assumere decisioni derivanti da ponderate riflessioni e non da subitanee e improbabili illusioni.  Senza entrare nel merito delle diverse posizioni, essendo la ricerca iniziata già nel 2014, l’allarme  trova conferma anche dalle recenti vicende elettorali in quel Paese ma anche in Europa. Dove si  è potuta riscontrare, come condiviso da tutti gli analisti, una completa scotomizzazione fra i  bisogni, le condizioni di vita e di lavoro, e le scelte elettorali dominate completamente da  populismi irrazionali e rivolte a favore di temi e candidati contrari alle prime.  In Italia, del tutto recentemente l’Osservatorio giovani dell’istituto G. Toniolo ha diffuso  un’anteprima di uno studio su “Diffusione, uso, insidie dei social network”, condotto nel mese di  gennaio dell’anno in corso su oltre 2.000 individui fra i 20 ed i 34 anni di età. I dati non sono molto  difformi dallo studio prima ricordato, anche se le classi di età non sono del tutto le stesse ed  ugualmente le percentuali sull’uso e sugli errori di valutazione differiscono, con valori meno  preoccupanti per la popolazione del nostro Paese. Ma la rappresentazione del fenomeno è molto  simile, rispetto alla facilità con cui gli utenti dei social possono essere tratti in inganno o non  hanno sufficiente capacità critica per discriminare il vero dal falso.   Per il nostro lavoro di soggetti che intervengono sulla popolazione per aiutare gli individui ad  operare scelte razionali nei confronti della salute si pone un duplice ordine di problemi, sui  contenuti rispetto ai tanti imbonitori che popolano i media ovunque e di continuo (in uno degli  ultimi numeri abbiamo esaminato il problema dell’alimentazione e degli alimenti) e, se-condo,  sull’uso dei mezzi innovativi della comunicazione. Al momento ci fermiamo, aprendo su questi  punti un forte spunto alla riflessione.  Non si vuole ovviamente riproporre una nuova forma di luddismo, bensì invitare a ragionare sul  che fare, sul come utilizzare al meglio questi strumenti che offrono indubbi vantaggi e rendono a  moltissime persone la vita più facile, Basti pensare solamente, per quelli che riescono a farlo, alla  possibilità di acquistare i biglietti del treno, operazione sempre più difficile per la chiusura di molte  stazioni e gli orari che praticano quelle ancora aperte. La soluzione è evidente, ancorché non  facile, la stessa per molti altri strumenti: fare buon uso di essi, dalla fissione nucleare al taglierino.  Difficile il percorso con cui costruire e realizzare un processo formativo di tutti sul corretto uso di  essi e creare una coscienza critica, matura a partire dalle generazioni dei giovanissimi, ai quali  mettiamo in mano aggeggi incredibili, fin dalla culla. Ma assolutamente necessario.   Qui comincia – o si ripropone – ancora un discorso vecchio, il ruolo dei genitori e della fa-miglia  come primo momento educativo, ovviamente messi in grado ed aiutati a svolgerlo. Nel Paese del  Vaticano, dove sembrerebbe della massima importanza la pietas cristiana, a questa isti-tuzione  fondamentale della società viene riservato uno spazio amplissimo a parole assai ridotto in termini  reali. Come al solito molte chiacchiere e pochissimi fatti. Del ruolo delle istituzioni formative non serve parlarne, sappiamo tutti cosa dovrebbero fare e non  occorre auspicare che lo facciano, è un loro preciso dovere.  Per saperne di più: //ed.stanford.edu/node/10003?newsletter=true Http://www.rapportogiovani.it/diffu-sione-uso-insidie-dei-social-network-i-dati-dellosservatorio- giovani-dellistituto-toniolo/