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VOLUME 62, N°3 LUGLIO-SETTEMBRE
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2018
Un medico di famiglia e la Medicina Narrativa A General Practitioner and Narrative Medicine Tiziano Scarponi Quale Medico di Medicina Generale di lunga esperienza ho da sempre lavorato su salute-malattia attraverso la relazione con i miei assistiti e le storie che riportano. Da qui la mia ricerca e il mio interesse alla Medicina Narrativa. Una convergenza di metodo e strumento. Mi sono sentito pertanto coinvolto in prima persona nella costruzione di questa sezione monografica della Rivista. L’argomento è indubbiamente di grande attualità. Forse una delle tante tra le nuove tendenze? La mole delle informazioni, delle suggestioni, il bombardamento continuo di recensioni, di pubblicazioni e di stimoli proveniente dalla rete sembrerebbe confermarlo e a volte disorientarci.   Di qui la scelta di approfondire alcuni concetti per provare a rispondere ad alcune do- mande: “Tutto questo fiorire d’interesse nei confronti della Medicina Narrativa è solo moda? Rispetto al suo esordio ha avuto degli sviluppi? E, soprattutto per una rivista che ha per argomento l’educazione sanitaria e la promozione della salute, la Medicina Narrativa è pertinente o è solo uno strumento di cura per la terapia di soggetti malati?”. Non mi dilungo sull’importanza e sul valore anche terapeutico delle narrazioni da quando l’uomo è comparso sulla terra a oggi. Si dovrebbe partire dalle raffigurazioni rupestri del paleolitico, attraversare tutta la mitologia e la filosofia del mondo classico, passare attraverso le leggende e le misture di credenze di santi cristiani con i rimedi alchemici stregonici sino ad arrivare alla “separazione avvenuta tra il XVII e il XIX secolo fra la medicina-tra-la-popolazione (quella dei cerusici, monaci, apotecari) e la medicina-fra le-mura-ospedaliere. Periodo questo, in cui sono nate le grandi istituzioni (manicomi, ospedali) contemporaneamente allo sviluppo della rivoluzione industriale e della scienza positivista” (1).   Da questo momento in poi, l’interesse della medicina si è focalizzato su di un corpo biologico analizzato come un assemblaggio di organi e i suoi guasti dovevano essere ricercati con delle categorie convenzionalmente concordate: le malattie. Il risultato, pertanto, era lo studio e l’osservazione di un oggetto decontestualizzato dalla propria storia, dal proprio ambiente, dal proprio carattere e dalla propria mente. Si deve aspettare la fine degli anni ’70 dello scorso secolo perché cambi qualcosa. Lo psichiatra statunitense George Limban Engel, forte dell’eredità di Martin Heidegger e della filosofia ermeneutica sancisce l’inseparabilità fra Soggettività e Oggettività e teorizza l’approccio biopsicosociale da affiancare a quello biomedico. Il passaggio successivo è quello dell’antropologo medico Byron Good che per primo parla di Narrative Based Medicine come modello per interpretare il “vissuto di malattia” del paziente, per arrivare ai giorni nostri con Rita Charon che definisce nello storico articolo del 2001 su JAMA gli obiettivi della Medicina Narrativa: “La Medicina Narrativa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere sensibilizzati dalle storie della malattia: aiuta medici, infermieri, operatori sociali e terapisti a migliorare l’efficacia di cura attraverso lo sviluppo della capacità di attenzione, riflessioni, rappresentazione e affiliazione con i pazienti e i colleghi”. Da allora la Medicina Narrativa ha acquisito la piena dignità di disciplina scientifica ed è letteralmente “esplosa”. Sono nate società scientifiche e associazioni e non è più possibile contare i convegni, i congressi e le pubblicazioni sull’argomento, tanto da restare disorientati nel cercare di tirare le fila. Questi alcuni dei problemi che si pongono e ai quali è indubbiamente complesso trovare soluzioni e risposte definitive. Tanta è stata l’esigenza di fare ordine sulla Medicina Narrativa, che l’Istituto Superiore di Sanità ha riunito un gruppo di esperti per dar vita ad una Conferenza di Consenso “Linee di indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa in ambito clinico-assistenziale, per le malattie rare e cronico-degenerative” che ha prodotto un documento definitivo di consenso (2) pubblicato con il contributo incondizionato della multinazionale del farmaco Pfizer.   In questo documento leggiamo la seguente definizione di Medicina Narrativa: “Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura”. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La Medicina Narrativa (MN) si integra con l’Evidence-Based Medicine (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura (3). Senza dubbio come scrissi a suo tempo (4) “si è sentita l’esigenza di “normare” e “teorizzare” la Medicina Basata sulla Narrazione per evitare che uno spontaneismo incontrollato potesse dar vita ad uno stile salottiero del prendersi cura”.   Sono stati esplorati i presupposti, la storia, i modelli di approccio per arrivare ad una definizione e indicare gli strumenti. Questa esigenza di normare, questa volontà di proporre una definizione e una metodologia, se da una parte origina da un sacrosanto principio di voler dare ordine e chiarezza, dall’altra può incorrere nel rischio di tornare sudditi del paradigma scientifico la cui insufficienza si voleva superare: “Tuttavia, è importante evitare di finalizzare la medicina narrativa al solo contesto della cura di un singolo paziente perché non è possibile eludere la richiesta che essa debba essere sottoposta a stringenti requisiti di validità scientifica” (5), si avverte cioè la tentazione di voler a tutti costi oggettivare e reificare, nel senso di trasformare in oggetto, quello che è un rapporto umano dinamico, di scambio di un qualcosa che molto spesso è impalpabile e non misurabile. Ivan Cavicchi nel suo saggio breve “Il linguaggio della salute” (6) afferma che la Medicina Narrativa posizionandosi per propria definizione come del “tutto simmetrica alla medicina basata sull’evidenza ... diventa una ipotesi ausiliaria a sostegno del vecchio e macilento paradigma positivista” e pertanto la liquida come un qualcosa che non va al di là della buona pratica clinica. Cavicchi portando avanti in modo lucido e coerente tutto il suo discorso sulla questione medica, insieme alla Medicina Narrativa attacca e definisce come mode: le “Medical Humanities”, la bioetica, la medicina basata sull’evidenza e persino la slow medicine che viene relegata al meglio del buon senso.   Non condivido i toni estremistici di Cavicchi e molte sue conclusioni, ma condivido con lui il fatto che l’approccio narrativo, così come viene rappresentato nel Documento di Consenso, corra il rischio di perpetuare la scissione cartesiana fra scienze della natura e scienze umane e faccia nascere forte anche il sospetto che il rapporto medico-paziente venga alla fine ghettizzato dentro la cornice di un quadro clinico e di una semplice trama narrativa.  Quale è pertanto il problema? La Medicina Narrativa è solo uno strumento utile e una tecnica da dover meticolosamente studiare? È di fatto una nuova specialità? Un rovesciamento di paradigma tale da dar vita ad una nuova epistemologia? È senza dubbio difficile poter rispondere in modo chiaro, esauriente e soprattutto coerente. News e articoli sono spesso in contraddizione fra loro e si rileva una continua oscillazione fra la l’esigenza di “regolarizzare” e “uniformare” la competenza narrativa e quella di irreggimentarla il meno possibile.   In questa seconda direzione va l’intervista rilasciata dal professor Antonio Virzì presidente della Società italiana di Medicina Narrativa (7) in cui afferma che alla Medicina Narrativa non servono specialisti ma capacità di ascolto e pertanto si dovrebbe più che altro alimentare un movimento culturale che vada in questa direzione. Sorge spontanea, a questo punto, la domanda su come mai si debba registrare la grande assenza della Medicina Generale in tutti questi Convegni, in tutte queste occasioni di incontro e di discussioni sulla Medicina Narrativa, come se fosse un qualcosa che non la riguardi. Mi piace rispondere da medico di medicina generale o di famiglia, come ancora mi piace definirmi, e mi si perdonerà un tono un leggermente irriverente, ma mi preme fortemente puntualizzare alcune considerazioni. Per un medico di famiglia tutto questo clamore sulle narrazioni dei pazienti lascia perplessi in quanto queste narrazioni, queste storie costituiscono da sempre il suo pane quotidiano.   Sono andato a cercare nella mia biblioteca il “prezioso” volumetto “Il giudizio clinico in medicina generale” (8) stampato nel luglio 1998, prima di Charon e di tanti altri quindi, in cui il primo capitolo è così intitolato “La medicina generale: la clinica delle storie. L’importanza del raccontare storie in medicina generale”. Tutto il capitolo è una serie di racconti di pazienti calati nel setting tipico della Medicina Generale in cui il primo passo non è quello di capire il vissuto di un paziente oncologico, di un paziente con deficit cognitivo o portatore di malattia rara, ma di capire perché il paziente ha deciso di venire questa sera da me e che cosa mi vuole significare: un malessere? Una malattia? Un sintomo senza né capo né coda? Un problema di un suo famigliare?   Il paziente molto spesso non si sente paziente e nega storie e narrazioni di malattia e mi trovo dunque completamente d’accordo con Virzì quando afferma che più di formare specialisti in medicina narrativa si dovrebbe favorire le capacità di ascolto da parte dei medici e degli operatori socio-sanitari, favorire una postura, sospendendo, aggiungo, la “pretesa” di oggettivare l’incontro di due soggettività, oggettivare cioè la relazione. Credo che si debba lavorare molto proprio sull’importanza e l’inferenza della relazione in senso di co-costruzione del proprio percorso che si fa insieme al paziente. Credo infatti che sia assente in molti professionisti della salute questa consapevolezza che, se si vorrà aumentare il raggio di azione della medicina generale in senso preventivo e proattivo, dovrà divenire un imperativo.   Voglio chiudere riportando per intero alcune frasi del sopramenzionato “Il giudizio clinico in medicina generale”. “Se aualcuno dovesse chiedere di cosa veramente si occupa il medico di medicina generale, gli si potrebbe rispondere che questo tipo di professione cerca, sulla base delle sue conoscenze scientifiche e delle sue competenze professionali, di dare una risposta a coloro i quali, temendo di essere malati, si recano da lui per avere una valutazione competente riguardo alla presenza di malattie e ottenere indicazioni concrete per superare il malessere percepito ... si potrebbe inoltre spiegare che il medico di medicina generale si dimostra capace di concepire l’infermità che il paziente gli narra proprio grazie al recupero e alla rielaborazione di tutti quegli elementi di conoscenza che medici ospedalieri, specialisti e cliniche universitarie solitamente gettano nel bidone della spazzatura della scienza”.   BIBLIOGRAFIA 1. Parma E. Un ponte tra scienza della natura e scienza umana. In: a cura di Caimi V, Tombesi M. Medicina Generale. Torino: UTET; 2003. 2. I Quaderni di Medicina de Il Sole 24 Ore Sanità 2015; Allegato n.7, 24 feb.-2 mar. 2015. 3. Ibidem pag 13. 4. Scarponi T. Il medico di famiglia cantastorie: la consapevolezza dell’essere per la cura. Riflessioni Sistemiche 2015; 12:177-178. www.aiems.eu 5. I Quaderni di Medicina de Il Sole 24Ore Sanità 2015; Allegato n.7, 24 feb.-2 mar. 2015; p. 18. 6. Cavicchi I. Il linguaggio della salute. La comunicazione medico-paziente. La questione dei cambiamenti di paradigma. La professione. MEDICINA, SCIENZA, ETICA E SOCIETÀ. Trimestrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri 2017; II/ XVIII- MMX- VII: 45-97. 7. Viola R. Medicina Narrativa-news: Il giornale della medicina narrativa. Intervista a Antonio Virzì: Alla medicina narrativa non servono specialisti ma capacità di ascolto. 8 maggio 2018. www.omni-web.org. 8. S.Bernabé S, Benicasa F, Danti G. l giudizio clinico in medicina generale 1998; Torino: UTET: XIII XIV.