VOLUME 62, N°4 OTTOBRE-DICEMBRE
EDITORIA
Centro Sperimentale per la Promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria
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Che fare?
What to do?
Lamberto Briziarelli
Il quarantennale della legge di riforma sanitaria si colloca in un momento di vita difficile dell’intero
Paese e ci obbliga non ad una celebrazione, quanto ad una profonda riflessione su dove stiamo
andando, e non solo nel campo della sanità. Come il 1978 fu un anno particolarmente felice il
2018 sembra piuttosto foriero di ripercussioni negative e di un forte arretramento.
Nei dodici mesi di quaranta anni or sono vennero a soluzione diversi nodi irrisolti per i quali un
movimento della popolazione, le lotte operaie e studentesche tra gli anni ‘60 e ‘70 per la scuola,
la casa, la salute, avevano determinato un momento politico particolare, frutto dell’intesa fra i
cattolici progressisti e la sinistra riformatrice. E così alla fine del decennio si giunse alla
promulgazione di importanti leggi, specie nel campo della tutela della salute, 833, 180 e 194, che
segnarono un punto di svolta e di progresso incredibile, tra i più significativi in tutto il mondo
avanzato.
Nell’anno corrente, al termine di un decennio di profonda recessione economica che ha creato
ripercussioni negative in molti settori della società, registriamo in particolare la perdita di potere
dei corpi intermedi della democrazia e delle forme di rappresentanza della popolazione.
Assistiamo ad un progressivo, quasi totale, distacco dei cittadini dalle istituzioni, il
disconoscimento di partiti e sindacati, la sfiducia e la messa in discussione dei servizi pubblici, un
individualismo esasperato che annulla quasi del tutto il concetto di comunità. L’affermarsi di nuovi
movimenti ed una nuova espressione elettorale della popolazione hanno portato a momenti assai
difficili in cui rischiano di andare in crisi gli elementi su cui si basa l’assetto democratico dell’intero
Paese, con il verificarsi di una situazione inversa a quella che portò alle leggi di riforma di quegli
anni.
I tanto esaltati attori del cambiamento, nuovi rivoluzionari, non si occupano minimamente di ciò,
promuovono una sorta di controrivoluzione che mette in crisi la democrazia, con il rischio di
sostituirla con forme oligarchiche se non dittatoriali, senza risolvere nessuno dei problemi più
importanti del Paese, limitandosi a seguire le chimere con le quali hanno avuto il successo
elettorale.
Siamo in presenza di un paradosso insolubile. Si approfondano le disuguaglianze nella
popolazione e tra le varie aree geografiche del Paese, la distanza tra Sud e Nord non è stata mai
tanto forte.
Le protezioni sulla salute, come già scritto, ricordato e reclamato più volte (già molti anni or sono
da Tudor Hart con la Inverse care law) diminuiscono per i singoli e le loro famiglie quando sono
senza lavoro, il lavoro è messo in discussione, le stesse pensioni sono minacciate, specie per le
future generazioni.
E così, all’interno della sanità, vengono sminuiti, se non cancellati, gli stessi principi
fondamentali su cui si fonda il Servizio sanitario nazionale: uguaglianza, unitarietà, solidarietà.
Prosegue e si approfonda la deriva del SSN determinata dalla II e III riforma della sanità
(richiamate nell’articolo di Briziarelli e Menichetti) con l’aziendalizzazione dei servizi (sull’onda
della filosofia delle Gran Bretagna del provider e purchaser e l’introduzione della concorrenza
all’interno del SSN) e successivamente con le troppo ampie deleghe alle Regioni e Province
autonome, senza elementi effettivi di controllo, favorendo la creazione di altrettanti piccoli servizi
sanitari autonomi. Con conseguenze gravissime anche nel governo delle strutture sanitarie.
L’articolo di Geddes richiama puntualmente invece le ragioni dell’assoluta sostenibilità del
sistema sanitario come delineato nella 833, richiamando partiti e sindacati, forze politiche ed
intellettuali ad un nuovo impegno in questa direzione.
Debbono essere chiamati in causa i governi regionali e il governo tecnico (la tanto menzionata
governance) delle Agenzie e delle Aziende sanitarie; nelle quali a mio parere, si è introdotto un
virus (come ancora si usa dire oggi) che ha provocato un grave morbo, una vera e propria
sindrome, che in un libro di qualche anno fa Mattozzi e Antonio Merlo hanno chiamato
mediocrazia, governo delle mediocrità; nel quale la meritocrazia (peraltro discussa e spesso
indegna del nome) basata sulla competenza è stata sostituita dall’appartenenza (stessa
desinenza ma quanta differenza!), familistica, di partito o magari di corrente, di fazione, di
interessi, di corporazione, se non di cosca. E così, dal combinato disposto della seconda e terza
riforma nella gestione del Servizio sanitario ai Comitati di gestione delle USL (macchiati
dall’accusa infamante di lottizzazione) è stata sostituita una trimurti di nominati (nobilitati, con
l’inglesismo di turno, manager) scelti dalle sole maggioranze dei governi regionali. Un triumvirato
che a sua volta ha il potere di nominare
i responsabili di servizi (non della pulizia o di manutenzione, o della lavanderia) ma
i primari delle strutture sanitarie, ospedaliere o territoriali che siano. E così dirigenti di Centri di
salute sono specialisti in ostetricia; Oculisti dirigono Distretti sanitari, Veterinari dirigono
Dipartimenti di Prevenzione, Cardiologi e Ostetrici diventano Direttori sanitari (cito tutti casi
realmente avvenuti).
In tempi più recenti, all’interno della sindrome sono comparsi due nuovi e gravi sintomi, il
presentismo (ben definito circa un anno fa in un interessante libro di De Rita e Galdo, "Prigionieri
del presente" e su cui quindi non mi dilungo) e il rifiuto della scienza.
E così, tanto per citare casi veri, senza far torto a nessuno, una Ministra della pubblica istruzione
di un precedente governo (che nel suo curriculum vantava il solo lavoro di sindacalista e titoli di
studio discussi) poteva sostenere che le vaccinazioni (cioè il diritto alla salute dei bambini, degli
uni verso tutti gli altri) avrebbero minacciato il diritto allo studio; per tutta risposta, la vincente
Ministra della sanità per converso (invece di fermarsi alle poche vaccinazioni obbligatorie di cui
un improvvido altro ministro aveva sospeso l’obbligatorietà) ne imponeva dodici, sotto la spinta di
qualche igienista provvido o magari di qualche altra lobby. E nel governo attuale un
Sottosegretario può porre la domanda “ma chi ha detto che la scienza deve prevalere sulla
politica?”, come se si trattasse di una partita di calcio, di una scommessa da bar, mettendo a
confronto la verità dei dati e della storia del progresso con le opinioni, magari espresse in 140
caratteri; o la Ministra della sanità che propone un’obbligatorietà discrezionale, mostrando una
scarsa conoscenza anche del vocabolario, rispetto al significato delle parole.
Siamo di fronte ad una pagina bianca con un grosso punto interrogativo di colore rosso,
scottante. Come fare ad arginare quella specie di deriva dei continenti intrapresa dalle nostre
Regioni? Come ridurre ad unum ventuno piccoli e distinti servizi sanitari, di modo che i cittadini
ricevano le stesse prestazioni dalle Alpi al Lilibeo (come si diceva una volta) o fare si che i servizi
siano tutti uguali, da Norcia a Perugia, dal Mugello a Firenze, o che il patto sociale della
solidarietà torni a regnare dovunque? Questa è la domanda sulla quale possiamo interrogarci, qui
o convocare un’altra sessione, senza entrare nella logica ingegneristico-istituzionale - che ha
lasciato sulla strada diversi cadaveri eccellenti – ma trovare il modo, perché è qui che si salvano i
principi fondamentali dell’equità, unitarietà e solidarietà su cui poggia l’intera 833 ed il vero SSN
pubblico