VOLUME 61, N°3 LUGLIO-SETTEMBRE
EDITORIA
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MONOGRAFIA
Salute e migranti
Presentazione
Salute e Migrazione: una relazione complessa e un case-study di promozione della
salute
Health and Migration: a complex relationship and a case-study of health promotion
Alessandro Rinaldi, Maurizio Marceca
Società Italiana Medicina delle Migrazioni
‘Salute’ e ‘Migrazione’ sono due fenomeni di per sé complessi e complessa è, inevitabilmente, la
relazione dinamica che li caratterizza. A un approfondimento di questa complessità si dedicava (e
intitolava) un editoriale di The Lancet del 20061. Questo stesso binomio si presenta come un
‘case study’ di Promozione della Salute. A ben vedere infatti, ‘Salute’ e ‘Migrazione’ sono
specularmente accomunate dalla necessità di vedere realizzate alcune caratteristiche sancite ad
Ottawa nel 1986: pace; protezione; istruzione; cibo; reddito; ecosistema stabile; sviluppo
sostenibile; equità e giustizia sociale. Viceversa, è proprio la mancanza, o carenza, di queste
condizioni, a spingere milioni di persone in tutto il mondo ad abbandonare la propria casa, i propri
affetti, la propria terra di origine: guerra, persecuzioni sociali e religiose, carenza di istruzione,
scarsità di cibo, povertà, cambiamenti climatici, ingiustizie e disuguaglianze sociali sono infatti
riconosciuti tra i principali fattori di spinta (push factors) verso la migrazione.
Non sfuggirà come la stessa prospettiva di analisi sia stata offerta, a partire dai primi anni ’90,
dalla teoria dei ‘Determinanti sociali della salute’, che è alla base dell’epidemiologia sociale e che,
in Sanità Pubblica, è orientata al contrasto delle disuguaglianze nella salute e nell’assistenza2. A
fronte di questa multidimensionalità, il discorso sugli ‘immigrati’ e la ‘salute’ viene ancora spesso
declinato, nel dibattito pubblico, con un’enfasi eccessiva sul rischio infettivologico, cioè al
possibile ruolo di ‘untori’ che i migranti potrebbero rivestire nei confronti della popolazione ospite.
Ciò fa sì che venga prestata poca attenzione a tutte quelle variabili e dimensioni - a partire dai
diritti civili e politici e dalle condizioni socio-economiche - che dovrebbero essere invece
considerati fondamentali per la promozione, la tutela e il mantenimento della loro salute.
La chiave di lettura fornita dalla Promozione della Salute ci aiuta invece a stabilire un forte
collegamento tra ‘migrazione’ e ‘salute’, in cui quest’ultima non si esaurisce nella sua dimensione
biologica ma, venendo considerata come un diritto umano fondamentale, si estende anche a
quella sociale, economica e politica, in cui la ‘migrazione’ è essa stessa un determinante della
salute. Provare quindi a descrivere la salute degli stranieri vuol dire innanzitutto abbandonare la
visione della salute come sola assenza di malattia e parlare di sofferenza sociale prima ancora
che di patologia. Per tale ragione, riteniamo che promuovere la salute delle persone straniere, più
che diagnosticare e trattare quadri nosologici inconsueti, voglia dire soprattutto agire per la tutela
dei diritti e per lo sviluppo di relazioni umane significative, accomunate dal tentativo di
comprendersi vicendevolmente provando a superare pregiudizi e paure. É quindi una preziosa
opportunità per riconsiderare la ‘persona’ nel suo insieme (corpo, psiche, cultura, aspettative,
desideri) e all’interno del proprio contesto di vita (inserimento o fragilità sociale, effetti delle
politiche di accoglienza e d’integrazione, pregiudizi e discriminazioni).
Per provare a restituire almeno in parte la complessità cui si è fatto cenno, abbiamo deciso di
affrontare il discorso “salute e migrazione” su più livelli (internazionale, nazionale e locale) e con il
contributo di diverse discipline e professionalità: sanità pubblica ed epidemiologia; psichiatria;
pediatria e ginecologia; mediazione linguistico-culturale e salute mentale; servizio sociale;
sociologia e pedagogia.
I diversi contributi sono stati forniti da persone che fanno parte della Società Italiana di Medicina
delle Migrazioni (SIMM), una Società scientifica nata nel 1990 e fortemente multidisciplinare, che
si caratterizza per il fatto di associare, all’impegno nella ricerca, nel confronto scienti co e nella
formazione dei professionisti, quello nell’advocacy verso le istituzioni per la tutela della salute
delle comunità migranti presenti in Italia3.
I primi tre articoli presenti in questo numero monografico affrontano il tema del riconoscimento del
diritto alla salute dei migranti. Gli autori e le autrici si sono soffermati soprattutto sul ruolo che la
società civile (e i professionisti della salute al suo interno) ha avuto, ha e dovrebbe avere nella
tutela del diritto alla salute attraverso azioni di advocacy.
Come i lettori di questa rivista sanno, la dichiarazione di Ottawa ha individuato l’advocacy e la
costruzione di politiche pubbliche per la salute rispettivamente come una delle ‘azioni essenziali’
e una delle ‘attività strategiche’ per la promozione della salute. In un momento storico in cui la
Promozione della Salute è stata relegata e viene (erroneamente) associata alla mera gestione
degli stili di vita ‘scorretti’, crediamo che portare esempi concreti di promozione della salute
attraverso azioni di advocacy sia quanto mai opportuno e utile per contribuire al dibattito
scientifico nazionale in quest’ambito.
In tal senso, parafrasando quanto affermato da Salvatore Geraci nel primo articolo, occuparsi del
diritto alla salute delle persone straniere vuol dire fare politica “nel senso più puro del termine:
dove si cerca di mettersi a servizio della polis, della comunità, nella sua accezione più piena,
globale”. Abbiamo ritenuto opportuno iniziare dal contributo di Geraci perché ripercorre la nascita
e l’evoluzione dell’assistenza sanitaria agli immigrati in Italia. Da questo contributo il lettore potrà
acquisire le coordinate concettuali e temporali per orientarsi al meglio nella lettura degli altri
contributi. In questo articolo vengono affrontate la nascita della SIMM (Società Italiana Medicina
delle Migrazioni) e dei suoi GrIS (Gruppi Immigrazione e Salute) ed esplicitato il ruolo centrale
che essi hanno avuto nel processo di costruzione del “Testo unico delle disposi- zioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (D.Lgs. n. 286 del luglio
1998), norma che ha, tra le altre cose, ‘ancorato’ il diritto assistenziale degli immigrati provenienti
da paesi non appartenenti all’Unione Europea.
Il contributo di Manila Bonciani, Marisa Calacoci, Filippo Gnolfo e Lorenzo Surace si pone in linea
di continuità con quello precedente. Infatti, dopo un’interessante introduzione dedicata
all’approfondimento e contestualizzazione del concetto di ‘advocacy’, vi viene descritta l’attività
dei GrIS e il ruolo che questi esercitano su (quasi) tutto il territorio nazionale nel sorvegliare e
garantire l’effettiva applicazione delle indicazioni normative. Gli autori hanno scelto di de- scrivere
le azioni di advocacy realizzate da quattro GrIS (Emilia-Romagna, Calabria, Lazio e Toscana),
mettendone in luce le difficoltà incontrate ed i risultati raggiunti.
Con l’articolo di Chiara Bodini si passa da una dimensione locale (nazionale e regionale) ad una
globale e nello specifico europea. Il contributo illustra come a livello europeo il diritto
all’assistenza sanitaria sia caratterizzato da una forte disomogeneità negli ordinamenti tra paesi e
al tempo stesso dalla presenza di barriere comuni che ne limitano l’accesso. A partire da questa
analisi generale l’articolo descrive la situazione specifica di tre casi nazionali (Spagna, Germania
e Italia), sottolineando - ancora una volta - il ruolo svolto dalla società civile nel tutelare il diritto
alla salute. L’autrice ci ricorda anche che oggi - a causa del “dogma dell’austerity” come risposta
principale alla crisi economica - impegnarsi per difendere il diritto alla salute delle persone più
svantaggiate socialmente e promuovere una “salute senza esclusioni”, vuol dire anche
impegnarsi per difendere la “salute per tutti”.
I due contributi di Marco Mazzetti e di Giancarlo Santone con Emilio Vercillo affrontano il tema
della ‘salute mentale’ degli immigrati. Come già accennato, la salute delle persone straniere è
fortemente caratterizzata dalla sofferenza sociale cui sono esposti durante tutta la loro
esperienza pre-migratoria e migratoria, e all’arrivo nel paese ospite possono manifestare forme
reattive di disagio psicologico-esistenziale.
Marco Mazzetti, servendosi della testimonianza autobiografica di un ragazzo del Togo, descrive
quali siano i fattori in grado di favorire la resilienza al “trauma della migrazione”. Tra questi, oltre a
caratteristiche di tipo individuale e legate allo specifico ‘progetto migratorio’ del singolo, assume
un’importanza particolare il sostegno sociale su cui la persona può contare all’interno del paese
ospite. L’articolo si conclude affermando che tuttavia, allo stato attuale, i dati sulle
ospedalizzazioni per ragioni psichiatriche e le osservazioni condotte sul campo con i profughi
tendono a descrivere un quadro allarmante: numerosi soggetti presentano difficoltà individuali,
assenza di un progetto migratorio e limitate capacità di fruire del sostegno sociale. Per tali ragioni
è sempre più necessario garantire percorsi di accoglienza e assistenza che sappiano tener conto
di queste difficoltà e al tempo stesso promuovere contesti di “sostegno sociale” in cui le persone
possano valorizzare le capacità e risorse individuali.
Cosa fare quando le persone (molto spesso ‘migranti forzati’) non hanno né risorse personali né
risorse sociali cui attingere per sostenere la prova “traumatica” che la migrazione comporta? A tal
riguardo, Giancarlo Santone ed Emilio Vercillo ci parlano della loro esperienza clinica con i
richiedenti protezione internazionale, soprattutto per quanto riguarda la patologia post-traumatica.
Esperienza maturata all’interno del Sa.Mi.Fo. (Centro di Salute per Migranti Forzati), progetto
pilota nato nel 2006 dalla collaborazione tra la ex ASL Roma A e l’Associazione Centro Astalli per
i rifugiati dei Gesuiti. Vista la complessità dei bisogni in salute dell’utenza di riferimento, il Centro
lavora secondo un approccio che tenta di integrare l’assistenza medica di base con l’assistenza
specialistica e le prestazioni sanitarie in generale con le azioni di protezione sociale. Ben si
prestano le parole degli autori per descrivere l’attenzione con cui al Sa.Mi.Fo. ci si prende cura
delle persone: “Sulla base della esperienza maturata in questi anni abbiamo osservato che
qualsiasi comportamento o azione mirati a calmare il dolore e lo stress, a ricostruire la fiducia
nell’essere umano e a ridare dignità e speranza ai sopravvissuti alla tortura possono essere
considerati “atti terapeutici”. Inoltre che gli interventi in ambito sociale, economico, legale e
relazionale sono altrettanto indispensabili che quelli specifici sulla salute mentale e fisica”.
In altre parole, è possibile affermare che il lavoro di cura per le persone straniere, sia per quanto
riguarda la salute mentale che la salute in generale, non passa solo attraverso inter- venti
terapeutici di tipo sanitario. Ciò vuol dire che ad occuparsi della salute delle persone straniere (e
questo dovrebbe valere anche per le persone in generale) non debbano essere solamente gli
operatori sanitari (medici, infermieri, psicologi, terapisti della riabilitazione...) ma anche altre
tipologie di gure professionali. A tal proposito, gli articoli di Adela Ida Gutierrez e di Marcella
Coccia descrivono rispettivamente il ruolo che il mediatore culturale e l’assistente sociale hanno
nella tutela della salute degli immigrati.
Con il suo contributo Gutierrez pone l’accento sulla contraddizione di un sistema che vede la
mediazione culturale come la pratica più rappresentativa di un modello transculturale di salute e
allo stesso tempo considera il mediatore culturale come l’identità professionale meno definita nel
settore della salute. Per farlo, ripercorre la storia in Italia di questa gura professionale e, facendo
riferimento principalmente all’ambito della salute mentale, descrive il ruolo che il mediatore
ha/dovrebbe avere nel setting terapeutico e in che rapporto professionale si pone con gli altri
operatori della salute. Infine, approfondisce il tema della ‘lingua matrice’, specificando che il
mediatore non si limita ad una mera traduzione, ma fa emergere nel “qui” e “ora” della relazione
terapeutica la storia, la cultura, le specifiche configurazioni familiari e le diverse costruzioni della
soggettività che consentono di far emergere un contesto necessario al ne di dare un senso alla
sofferenza narrata dal paziente.Tutti i contributi fino ad ora considerati affermano quanto sia
importante il contesto sociale di accoglienza nella tutela della salute della persona immigrata.
Garantire un buon supporto sociale (lavorare quindi su ciò che sopra abbiamo definito come
‘determinanti sociali della salute’), non solo sembra migliorare la resilienza delle persone nei
confronti dell’esperienza migratoria, ma assume anche un ruolo “terapeutico” quando la
sofferenza sociale si trasforma in patologia. In tal senso, il contributo di Marcella Coccia evidenzia
come soprattutto l’assistente sociale - attraverso la costruzione di una relazione basata
sull’‘accoglienza’, la ‘fiducia’ e l’’ascolto’- possa farsi promotrice/promotore di interventi in grado di
favorire l’integrazione (e non l’assimilazione) della persona straniera all’interno della società che
la ospita. L’autrice afferma che ciò può voler dire affrontare situazioni multi-problematiche che
richiedono all’operatore di sviluppare nuove competenze ed essere disposto a “ripensare anche il
proprio ruolo non solo professionale ma anche personale, [...] a non dare nulla per scontato, a
vedere la vita sotto prospettive diverse, ad uscire dalle “certezze” statiche per inventarsi nuove
modalità atte ad affrontare i problemi posti”.
Oltre a quello della salute mentale, altri aspetti particolarmente rilevanti per la salute degli
immigrati riguardano soprattutto: condizioni fisiologiche come la gravidanza e il parto,
caratterizzate da una maggiore frequenza di esiti negativi per la salute della donna e del
bambino; e gli infortuni sul lavoro, più frequenti tra i lavoratori immigrati rispetto a quelli autoctoni.
Questi aspetti vengono approfonditi in tre articoli, due dei quali affrontano l’area della salute della
donna e del bambino e uno quella della salute dei lavoratori stranieri.
Il contributo di Alessandra Cecchetto, Elisabetta Cescatti, Grazia Lesi e Graziella Sacchetti tratta
la ‘salute delle donne straniere’ descrivendo come accedono e fruiscono dei servizi materno-
infantili per gravidanza, parto, e interruzione volontaria di gravidanza. L’attenzione dell’articolo si
concentra soprattutto su alcuni gruppi più vulnerabili: giovani ragazze, donne in maternità, donne
richiedenti protezione internazionale e vittime di violenza. Anche in questo caso, le autrici ci
ricordano che l’assistenza alle donne straniere porta in luce con maggiore evidenza quanto
dovrebbe valere anche per l’assistenza delle donne in generale: “il bisogno di ricomporre il corpo
con la psiche e [il fatto che] un accompagnamento sostanziale necessita di una messa in rete, di
una relazione reale tra coloro che si occupano del loro corpo gravido e chi si occupa del loro
futuro bambino. [...] Questo vuol dire curare i legami fra il personale curante, il legame fra i
genitori [...]”. La tutela della salute del ‘bambino migrante’ è l’argomento approfondito da Simona
La Placa e Rosalia Maria Da Riol. Nel loro articolo, dopo aver fornito una descrizione del contesto
e della normativa vigente di riferimento, affermano che i bambini migranti debbano essere
considerati prima di tutto bambini e, solo dopo, anche migranti. In termini assistenziali ciò si
dovrebbe tradurre in percorsi sanitari inclusivi ed equi, accessibili e fruibili per tutte le tipologie di
‘minore migrante’, articolati in più servizi e gure professionali per rispondere ai differenti bisogni di
salute. A questa parte generale segue poi un approfondimento specifico sulla tutela della salute
dei ‘minori stranieri non accompagnati’, fenomeno sensibilmente cresciuto nel tempo: rispetto al
totale dei minori arrivati in Italia, si è passati dal 49% del 2014 al 92% di minori non accompagnati
nel 2016. Come ribadito nei primi tre articoli di questa monografia, anche in questo caso, oltre
all’attività di ricerca e assistenza, le azioni di advocacy e lo scambio di buone pratiche risultano
fondamentali per la promozione e tutela della salute dei minori stranieri.
La salute dei lavoratori stranieri viene approfondita dal contributo di Erica Eugeni, Flavia Sesti,
Anteo Di Napoli e Giovanni Baglio. Dal loro contributo emerge una condizione di particolare
vulnerabilità dei lavoratori stranieri. Indipendentemente dall’attività svolta, questi sono soggetti a
un rischio infortunistico più alto rispetto ai lavoratori italiani e a una maggiore esposizione a
condizioni di discriminazione (es. atti di prepotenza e vessazione sul lavoro). Per tali ragioni, la
tutela della salute dei lavoratori stranieri costituisce un’importante questione di salute pubblica. In
tal senso gli autori auspicano lo sviluppo di interventi orientati alla formazione e alla tutela della
salute negli ambienti di lavoro.
Nell’ultimo contributo proposto, Emma Pizzini e Maria Laura Russo affrontano infine il tema
strategico della formazione degli operatori socio-sanitari. Spesso, medici e operatori sanitari non
sono preparati ad affrontare i bisogni di salute dei migranti, anche perché nel loro percorso
formativo non sono previsti insegnamenti/contributi ad hoc. Tuttavia le autrici ci ricordano che
l’OMS stessa, al ne di perseguire il miglioramento dello stato di salute del- la popolazione
migrante, ritiene fondamentale la formazione dei professionisti della salute. Dopo aver analizzato
il ruolo della formazione nel contrastare le disuguaglianze in salute e migliorare l’accessibilità e la
qualità dei servizi sanitari per i migranti e per le minoranze etniche, il testo si concentra
sull’inadeguatezza dei metodi formativi ancora oggi utilizzati nel campo della formazione. “La
formazione attuale - scrivono le autrici- continuando a proporre mappe di saperi statiche che non
riescono a interagire con altre proposte di esperienze formative, finisce con il “produrre”
professionisti appesantiti di nozioni, incapaci di connettere tra loro i differenti significati locali con
un contesto globale più ampio e di concepire una visione integrata delle proprie esperienze
professionali”. Quanto affermato non sembra valere solo per la formazione nel campo
dell’assistenza sanitaria agli immigrati, ma riguardare in generale il modo attraverso cui il sapere
viene prodotto e dispensato; tuttavia l’incontro del ‘sistema salute’ con persone provenienti da
contesti socio-culturali differenti sembra evidenziare con maggior forza i limiti attuali della
formazione. Ed è proprio a partire da questi limiti che nell’articolo vengono presentati approcci
formativi alternativi che prevedono il coinvolgimento diretto dei professionisti/discenti nella
costruzione del sapere attraverso un percorso formativo in grado di farli riflettere criticamente e
creativamente sulla loro pratica lavorativa. In questo modo la formazione diventa un “impegno
attivo a “partecipare”, ad essere attore protagonista di cambiamento del e nel mondo [...]. In
quest’ottica, la stessa esperienza di apprendimento è soggetta a un mutamento radicale, giacché
da mera acquisizione di contenuti precostituiti in ambiti disciplinari distinti secondo criteri statici,
diviene essa stessa azione d’interconnessione disciplinare e creazione di nuovi percorsi
cognitivi”.
E forse proprio questo in fondo vuol dire occuparsi della salute degli stranieri, e in generale delle
fasce socialmente più svantaggiate della popolazione: vuol dire appunto assumersi l’“impegno
attivo a partecipare, ad essere protagonista di cambiamento del e nel mondo”. In tale prospettiva,
è per noi importante sottolineare come l’idea di proporre a ‘Sistema Salute’ un numero
monografico su questi temi è nata dal desiderio di ricordare - anche con un prodotto culturale
comune - Maria Edoarda Trillò, un’amica e collega pediatra recentemente (e improvvisamente)
scomparsa; una persona che, sia nelle istituzioni che in diverse organizzazioni della società civile
(compresa la SIMM), si è spesa per tutta la vita per il diritto alla tutela indiscriminata della salute
di tutti, con particolare enfasi su quella dei bambini e delle donne; una persona di cui abbiamo
potuto apprezzare per decenni l’onestà intellettuale, le forti motivazioni etiche, la professionalità,
la passione civile, l’impegno, l’intelligenza e la sensibilità sociale e relazionale, cui questo numero
è dedicato.
1.
The Lancet 2006; 368:1039. DOI:10.1016/S0140-6736(06)69423-3. Editorial ‘Migration and
health: a complex relation’.
2.
Marmot M. La Salute Disuguale. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2017.
3.
Per maggiori informazioni, si veda il sito ‘www.simmweb.it’