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VOLUME 61, N°3 LUGLIO-SETTEMBRE
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2017
MONOGRAFIA Salute e migranti Presentazione Salute e Migrazione: una relazione complessa e un case-study di promozione della salute Health and Migration: a complex relationship and a case-study of health promotion Alessandro Rinaldi, Maurizio Marceca Società Italiana Medicina delle Migrazioni ‘Salute’ e ‘Migrazione’ sono due fenomeni di per sé complessi e complessa è, inevitabilmente, la  relazione dinamica che li caratterizza. A un approfondimento di questa complessità si dedicava (e  intitolava) un editoriale di The Lancet del 20061. Questo stesso binomio si presenta come un  ‘case study’ di Promozione della Salute. A ben vedere infatti, ‘Salute’ e ‘Migrazione’ sono  specularmente accomunate dalla necessità di vedere realizzate alcune caratteristiche sancite ad  Ottawa nel 1986: pace; protezione; istruzione; cibo; reddito; ecosistema stabile; sviluppo  sostenibile; equità e giustizia sociale. Viceversa, è proprio la mancanza, o carenza, di queste  condizioni, a spingere milioni di persone in tutto il mondo ad abbandonare la propria casa, i propri  affetti, la propria terra di origine: guerra, persecuzioni sociali e religiose, carenza di istruzione,  scarsità di cibo, povertà, cambiamenti climatici, ingiustizie e disuguaglianze sociali sono infatti  riconosciuti tra i principali fattori di spinta (push factors) verso la migrazione.   Non sfuggirà come la stessa prospettiva di analisi sia stata offerta, a partire dai primi anni ’90,  dalla teoria dei ‘Determinanti sociali della salute’, che è alla base dell’epidemiologia sociale e che,  in Sanità Pubblica, è orientata al contrasto delle disuguaglianze nella salute e nell’assistenza2. A  fronte di questa multidimensionalità, il discorso sugli ‘immigrati’ e la ‘salute’ viene ancora spesso  declinato, nel dibattito pubblico, con un’enfasi eccessiva sul rischio infettivologico, cioè al  possibile ruolo di ‘untori’ che i migranti potrebbero rivestire nei confronti della popolazione ospite.  Ciò fa sì che venga prestata poca attenzione a tutte quelle variabili e dimensioni - a partire dai  diritti civili e politici e dalle condizioni socio-economiche - che dovrebbero essere invece  considerati fondamentali per la promozione, la tutela e il mantenimento della loro salute.  La chiave di lettura fornita dalla Promozione della Salute ci aiuta invece a stabilire un forte  collegamento tra ‘migrazione’ e ‘salute’, in cui quest’ultima non si esaurisce nella sua dimensione  biologica ma, venendo considerata come un diritto umano fondamentale, si estende anche a  quella sociale, economica e politica, in cui la ‘migrazione’ è essa stessa un determinante della  salute. Provare quindi a descrivere la salute degli stranieri vuol dire innanzitutto abbandonare la  visione della salute come sola assenza di malattia e parlare di sofferenza sociale prima ancora  che di patologia. Per tale ragione, riteniamo che promuovere la salute delle persone straniere, più  che diagnosticare e trattare quadri nosologici inconsueti, voglia dire soprattutto agire per la tutela  dei diritti e per lo sviluppo di relazioni umane significative, accomunate dal tentativo di  comprendersi vicendevolmente provando a superare pregiudizi e paure. É quindi una preziosa  opportunità per riconsiderare la ‘persona’ nel suo insieme (corpo, psiche, cultura, aspettative,  desideri) e all’interno del proprio contesto di vita (inserimento o fragilità sociale, effetti delle  politiche di accoglienza e d’integrazione, pregiudizi e discriminazioni).  Per provare a restituire almeno in parte la complessità cui si è fatto cenno, abbiamo deciso di  affrontare il discorso “salute e migrazione” su più livelli (internazionale, nazionale e locale) e con il  contributo di diverse discipline e professionalità: sanità pubblica ed epidemiologia; psichiatria;  pediatria e ginecologia; mediazione linguistico-culturale e salute mentale; servizio sociale;  sociologia e pedagogia.   I diversi contributi sono stati forniti da persone che fanno parte della Società Italiana di Medicina  delle Migrazioni (SIMM), una Società scientifica nata nel 1990 e fortemente multidisciplinare, che  si caratterizza per il fatto di associare, all’impegno nella ricerca, nel confronto scienti co e nella  formazione dei professionisti, quello nell’advocacy verso le istituzioni per la tutela della salute  delle comunità migranti presenti in Italia3.   I primi tre articoli presenti in questo numero monografico affrontano il tema del riconoscimento del  diritto alla salute dei migranti. Gli autori e le autrici si sono soffermati soprattutto sul ruolo che la  società civile (e i professionisti della salute al suo interno) ha avuto, ha e dovrebbe avere nella  tutela del diritto alla salute attraverso azioni di advocacy.   Come i lettori di questa rivista sanno, la dichiarazione di Ottawa ha individuato l’advocacy e la  costruzione di politiche pubbliche per la salute rispettivamente come una delle ‘azioni essenziali’  e una delle ‘attività strategiche’ per la promozione della salute. In un momento storico in cui la  Promozione della Salute è stata relegata e viene (erroneamente) associata alla mera gestione  degli stili di vita ‘scorretti’, crediamo che portare esempi concreti di promozione della salute  attraverso azioni di advocacy sia quanto mai opportuno e utile per contribuire al dibattito  scientifico nazionale in quest’ambito.    In tal senso, parafrasando quanto affermato da Salvatore Geraci nel primo articolo, occuparsi del  diritto alla salute delle persone straniere vuol dire fare politica “nel senso più puro del termine:  dove si cerca di mettersi a servizio della polis, della comunità, nella sua accezione più piena,  globale”. Abbiamo ritenuto opportuno iniziare dal contributo di Geraci perché ripercorre la nascita  e l’evoluzione dell’assistenza sanitaria agli immigrati in Italia. Da questo contributo il lettore potrà  acquisire le coordinate concettuali e temporali per orientarsi al meglio nella lettura degli altri  contributi. In questo articolo vengono affrontate la nascita della SIMM (Società Italiana Medicina  delle Migrazioni) e dei suoi GrIS (Gruppi Immigrazione e Salute) ed esplicitato il ruolo centrale  che essi hanno avuto nel processo di costruzione del “Testo unico delle disposi- zioni concernenti  la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (D.Lgs. n. 286 del luglio  1998), norma che ha, tra le altre cose, ‘ancorato’ il diritto assistenziale degli immigrati provenienti  da paesi non appartenenti all’Unione Europea.   Il contributo di Manila Bonciani, Marisa Calacoci, Filippo Gnolfo e Lorenzo Surace si pone in linea  di continuità con quello precedente. Infatti, dopo un’interessante introduzione dedicata  all’approfondimento e contestualizzazione del concetto di ‘advocacy’, vi viene descritta l’attività  dei GrIS e il ruolo che questi esercitano su (quasi) tutto il territorio nazionale nel sorvegliare e  garantire l’effettiva applicazione delle indicazioni normative. Gli autori hanno scelto di de- scrivere  le azioni di advocacy realizzate da quattro GrIS (Emilia-Romagna, Calabria, Lazio e Toscana),  mettendone in luce le difficoltà incontrate ed i risultati raggiunti.    Con l’articolo di Chiara Bodini si passa da una dimensione locale (nazionale e regionale) ad una  globale e nello specifico europea. Il contributo illustra come a livello europeo il diritto  all’assistenza sanitaria sia caratterizzato da una forte disomogeneità negli ordinamenti tra paesi e  al tempo stesso dalla presenza di barriere comuni che ne limitano l’accesso. A partire da questa  analisi generale l’articolo descrive la situazione specifica di tre casi nazionali (Spagna, Germania  e Italia), sottolineando - ancora una volta - il ruolo svolto dalla società civile nel tutelare il diritto  alla salute. L’autrice ci ricorda anche che oggi - a causa del “dogma dell’austerity” come risposta  principale alla crisi economica - impegnarsi per difendere il diritto alla salute delle persone più  svantaggiate socialmente e promuovere una “salute senza esclusioni”, vuol dire anche  impegnarsi per difendere la “salute per tutti”.    I due contributi di Marco Mazzetti e di Giancarlo Santone con Emilio Vercillo affrontano il tema  della ‘salute mentale’ degli immigrati. Come già accennato, la salute delle persone straniere è  fortemente caratterizzata dalla sofferenza sociale cui sono esposti durante tutta la loro  esperienza pre-migratoria e migratoria, e all’arrivo nel paese ospite possono manifestare forme  reattive di disagio psicologico-esistenziale.   Marco Mazzetti, servendosi della testimonianza autobiografica di un ragazzo del Togo, descrive  quali siano i fattori in grado di favorire la resilienza al “trauma della migrazione”. Tra questi, oltre a  caratteristiche di tipo individuale e legate allo specifico ‘progetto migratorio’ del singolo, assume  un’importanza particolare il sostegno sociale su cui la persona può contare all’interno del paese  ospite. L’articolo si conclude affermando che tuttavia, allo stato attuale, i dati sulle  ospedalizzazioni per ragioni psichiatriche e le osservazioni condotte sul campo con i profughi  tendono a descrivere un quadro allarmante: numerosi soggetti presentano difficoltà individuali,  assenza di un progetto migratorio e limitate capacità di fruire del sostegno sociale. Per tali ragioni  è sempre più necessario garantire percorsi di accoglienza e assistenza che sappiano tener conto  di queste difficoltà e al tempo stesso promuovere contesti di “sostegno sociale” in cui le persone  possano valorizzare le capacità e risorse individuali.    Cosa fare quando le persone (molto spesso ‘migranti forzati’) non hanno né risorse personali né  risorse sociali cui attingere per sostenere la prova “traumatica” che la migrazione comporta? A tal  riguardo, Giancarlo Santone ed Emilio Vercillo ci parlano della loro esperienza clinica con i  richiedenti protezione internazionale, soprattutto per quanto riguarda la patologia post-traumatica.  Esperienza maturata all’interno del Sa.Mi.Fo. (Centro di Salute per Migranti Forzati), progetto  pilota nato nel 2006 dalla collaborazione tra la ex ASL Roma A e l’Associazione Centro Astalli per  i rifugiati dei Gesuiti. Vista la complessità dei bisogni in salute dell’utenza di riferimento, il Centro  lavora secondo un approccio che tenta di integrare l’assistenza medica di base con l’assistenza  specialistica e le prestazioni sanitarie in generale con le azioni di protezione sociale. Ben si  prestano le parole degli autori per descrivere l’attenzione con cui al Sa.Mi.Fo. ci si prende cura  delle persone: “Sulla base della esperienza maturata in questi anni abbiamo osservato che  qualsiasi comportamento o azione mirati a calmare il dolore e lo stress, a ricostruire la fiducia  nell’essere umano e a ridare dignità e speranza ai sopravvissuti alla tortura possono essere  considerati “atti terapeutici”. Inoltre che gli interventi in ambito sociale, economico, legale e  relazionale sono altrettanto indispensabili che quelli specifici sulla salute mentale e fisica”.   In altre parole, è possibile affermare che il lavoro di cura per le persone straniere, sia per quanto  riguarda la salute mentale che la salute in generale, non passa solo attraverso inter- venti  terapeutici di tipo sanitario. Ciò vuol dire che ad occuparsi della salute delle persone straniere (e  questo dovrebbe valere anche per le persone in generale) non debbano essere solamente gli  operatori sanitari (medici, infermieri, psicologi, terapisti della riabilitazione...) ma anche altre  tipologie di gure professionali. A tal proposito, gli articoli di Adela Ida Gutierrez e di Marcella  Coccia descrivono rispettivamente il ruolo che il mediatore culturale e l’assistente sociale hanno  nella tutela della salute degli immigrati.   Con il suo contributo Gutierrez pone l’accento sulla contraddizione di un sistema che vede la  mediazione culturale come la pratica più rappresentativa di un modello transculturale di salute e  allo stesso tempo considera il mediatore culturale come l’identità professionale meno definita nel  settore della salute. Per farlo, ripercorre la storia in Italia di questa gura professionale e, facendo  riferimento principalmente all’ambito della salute mentale, descrive il ruolo che il mediatore  ha/dovrebbe avere nel setting terapeutico e in che rapporto professionale si pone con gli altri  operatori della salute. Infine, approfondisce il tema della ‘lingua matrice’, specificando che il  mediatore non si limita ad una mera traduzione, ma fa emergere nel “qui” e “ora” della relazione  terapeutica la storia, la cultura, le specifiche configurazioni familiari e le diverse costruzioni della  soggettività che consentono di far emergere un contesto necessario al ne di dare un senso alla  sofferenza narrata dal paziente.Tutti i contributi fino ad ora considerati affermano quanto sia  importante il contesto sociale di accoglienza nella tutela della salute della persona immigrata.  Garantire un buon supporto sociale (lavorare quindi su ciò che sopra abbiamo definito come  ‘determinanti sociali della salute’), non solo sembra migliorare la resilienza delle persone nei  confronti dell’esperienza migratoria, ma assume anche un ruolo “terapeutico” quando la  sofferenza sociale si trasforma in patologia. In tal senso, il contributo di Marcella Coccia evidenzia  come soprattutto l’assistente sociale - attraverso la costruzione di una relazione basata  sull’‘accoglienza’, la ‘fiducia’ e l’’ascolto’- possa farsi promotrice/promotore di interventi in grado di  favorire l’integrazione (e non l’assimilazione) della persona straniera all’interno della società che  la ospita. L’autrice afferma che ciò può voler dire affrontare situazioni multi-problematiche che  richiedono all’operatore di sviluppare nuove competenze ed essere disposto a “ripensare anche il  proprio ruolo non solo professionale ma anche personale, [...] a non dare nulla per scontato, a  vedere la vita sotto prospettive diverse, ad uscire dalle “certezze” statiche per inventarsi nuove  modalità atte ad affrontare i problemi posti”.   Oltre a quello della salute mentale, altri aspetti particolarmente rilevanti per la salute degli  immigrati riguardano soprattutto: condizioni fisiologiche come la gravidanza e il parto,  caratterizzate da una maggiore frequenza di esiti negativi per la salute della donna e del  bambino; e gli infortuni sul lavoro, più frequenti tra i lavoratori immigrati rispetto a quelli autoctoni.  Questi aspetti vengono approfonditi in tre articoli, due dei quali affrontano l’area della salute della  donna e del bambino e uno quella della salute dei lavoratori stranieri.    Il contributo di Alessandra Cecchetto, Elisabetta Cescatti, Grazia Lesi e Graziella Sacchetti tratta  la ‘salute delle donne straniere’ descrivendo come accedono e fruiscono dei servizi materno-  infantili per gravidanza, parto, e interruzione volontaria di gravidanza. L’attenzione dell’articolo si  concentra soprattutto su alcuni gruppi più vulnerabili: giovani ragazze, donne in maternità, donne  richiedenti protezione internazionale e vittime di violenza. Anche in questo caso, le autrici ci  ricordano che l’assistenza alle donne straniere porta in luce con maggiore evidenza quanto  dovrebbe valere anche per l’assistenza delle donne in generale: “il bisogno di ricomporre il corpo  con la psiche e [il fatto che] un accompagnamento sostanziale necessita di una messa in rete, di  una relazione reale tra coloro che si occupano del loro corpo gravido e chi si occupa del loro  futuro bambino. [...] Questo vuol dire curare i legami fra il personale curante, il legame fra i  genitori [...]”. La tutela della salute del ‘bambino migrante’ è l’argomento approfondito da Simona  La Placa e Rosalia Maria Da Riol. Nel loro articolo, dopo aver fornito una descrizione del contesto  e della normativa vigente di riferimento, affermano che i bambini migranti debbano essere  considerati prima di tutto bambini e, solo dopo, anche migranti. In termini assistenziali ciò si  dovrebbe tradurre in percorsi sanitari inclusivi ed equi, accessibili e fruibili per tutte le tipologie di  ‘minore migrante’, articolati in più servizi e gure professionali per rispondere ai differenti bisogni di  salute. A questa parte generale segue poi un approfondimento specifico sulla tutela della salute  dei ‘minori stranieri non accompagnati’, fenomeno sensibilmente cresciuto nel tempo: rispetto al  totale dei minori arrivati in Italia, si è passati dal 49% del 2014 al 92% di minori non accompagnati  nel 2016. Come ribadito nei primi tre articoli di questa monografia, anche in questo caso, oltre  all’attività di ricerca e assistenza, le azioni di advocacy e lo scambio di buone pratiche risultano  fondamentali per la promozione e tutela della salute dei minori stranieri.    La salute dei lavoratori stranieri viene approfondita dal contributo di Erica Eugeni, Flavia Sesti,  Anteo Di Napoli e Giovanni Baglio. Dal loro contributo emerge una condizione di particolare  vulnerabilità dei lavoratori stranieri. Indipendentemente dall’attività svolta, questi sono soggetti a  un rischio infortunistico più alto rispetto ai lavoratori italiani e a una maggiore esposizione a  condizioni di discriminazione (es. atti di prepotenza e vessazione sul lavoro). Per tali ragioni, la  tutela della salute dei lavoratori stranieri costituisce un’importante questione di salute pubblica. In  tal senso gli autori auspicano lo sviluppo di interventi orientati alla formazione e alla tutela della  salute negli ambienti di lavoro.    Nell’ultimo contributo proposto, Emma Pizzini e Maria Laura Russo affrontano infine il tema  strategico della formazione degli operatori socio-sanitari. Spesso, medici e operatori sanitari non  sono preparati ad affrontare i bisogni di salute dei migranti, anche perché nel loro percorso  formativo non sono previsti insegnamenti/contributi ad hoc. Tuttavia le autrici ci ricordano che  l’OMS stessa, al ne di perseguire il miglioramento dello stato di salute del- la popolazione  migrante, ritiene fondamentale la formazione dei professionisti della salute. Dopo aver analizzato  il ruolo della formazione nel contrastare le disuguaglianze in salute e migliorare l’accessibilità e la  qualità dei servizi sanitari per i migranti e per le minoranze etniche, il testo si concentra  sull’inadeguatezza dei metodi formativi ancora oggi utilizzati nel campo della formazione. “La  formazione attuale - scrivono le autrici- continuando a proporre mappe di saperi statiche che non  riescono a interagire con altre proposte di esperienze formative, finisce con il “produrre”  professionisti appesantiti di nozioni, incapaci di connettere tra loro i differenti significati locali con  un contesto globale più ampio e di concepire una visione integrata delle proprie esperienze  professionali”. Quanto affermato non sembra valere solo per la formazione nel campo  dell’assistenza sanitaria agli immigrati, ma riguardare in generale il modo attraverso cui il sapere  viene prodotto e dispensato; tuttavia l’incontro del ‘sistema salute’ con persone provenienti da  contesti socio-culturali differenti sembra evidenziare con maggior forza i limiti attuali della  formazione. Ed è proprio a partire da questi limiti che nell’articolo vengono presentati approcci  formativi alternativi che prevedono il coinvolgimento diretto dei professionisti/discenti nella  costruzione del sapere attraverso un percorso formativo in grado di farli riflettere criticamente e  creativamente sulla loro pratica lavorativa. In questo modo la formazione diventa un “impegno  attivo a “partecipare”, ad essere attore protagonista di cambiamento del e nel mondo [...]. In  quest’ottica, la stessa esperienza di apprendimento è soggetta a un mutamento radicale, giacché  da mera acquisizione di contenuti precostituiti in ambiti disciplinari distinti secondo criteri statici,  diviene essa stessa azione d’interconnessione disciplinare e creazione di nuovi percorsi  cognitivi”.    E forse proprio questo in fondo vuol dire occuparsi della salute degli stranieri, e in generale delle  fasce socialmente più svantaggiate della popolazione: vuol dire appunto assumersi l’“impegno  attivo a partecipare, ad essere protagonista di cambiamento del e nel mondo”. In tale prospettiva,  è per noi importante sottolineare come l’idea di proporre a ‘Sistema Salute’ un numero  monografico su questi temi è nata dal desiderio di ricordare - anche con un prodotto culturale  comune - Maria Edoarda Trillò, un’amica e collega pediatra recentemente (e improvvisamente)  scomparsa; una persona che, sia nelle istituzioni che in diverse organizzazioni della società civile  (compresa la SIMM), si è spesa per tutta la vita per il diritto alla tutela indiscriminata della salute  di tutti, con particolare enfasi su quella dei bambini e delle donne; una persona di cui abbiamo  potuto apprezzare per decenni l’onestà intellettuale, le forti motivazioni etiche, la professionalità,  la passione civile, l’impegno, l’intelligenza e la sensibilità sociale e relazionale, cui questo numero  è dedicato. 1. The Lancet 2006; 368:1039. DOI:10.1016/S0140-6736(06)69423-3. Editorial ‘Migration and   health: a complex relation’.  2. Marmot M. La Salute Disuguale. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2017.   3.  Per maggiori informazioni, si veda il sito ‘www.simmweb.it’