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Salutogenesi e stress lavoro correlato
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Salutogenesi e Stress lavoro-correlato: una nuova prospettiva per gli interventi WHP Masanotti G., Caricato M., Paolucci S. INTRODUZIONE                                                                                                     Numerosi progetti sul territorio nazionale si prefiggono l'obiettivo di promuovere la salute  nelle aziende aderenti del territorio, intervenendo in modo mirato e personalizzato sulle  esigenze e sulle problematiche emerse in fase di valutazione in diversi ambiti:  alimentazione, attività fisica, fumo di sigaretta, consumo di alcol, stress lavoro-correlato.  Con il presente protocollo vengono proposti strumenti di indagine complementari a quelli  dei progetti, al fine di analizzare i possibili fattori stressanti collegati all'attività lavorativa,  l'impatto che essi hanno sul lavoratore e quanto questo possa tradursi in una  depauperazione delle risorse fisiche, emotive e psichiche dell'individuo. Inoltre, la  valutazione all'arruolamento delle aziende e a cadenze temporalmente scandite,  permetterà di stabilire quanto gli interventi attuati, sia  quelli specifici per lo stress, sia  quelli diretti agli altri ambiti sopra citati, possano avere un'influenza positiva sulla  riduzione del rischio di stress lavoro-correlato e sul miglioramento dello stato psico-fisico  del lavoratore.  Cos'è lo stress?  Il termine stress, di origine Inglese, che propriamente significa «sforzo», deriva dal  francese antico estrece «strettezza, oppressione» (der. del lat. strictus «stretto»). Il suo  uso nella lingua parlata si fa risalire agli anni della Rivoluzione Industriale Inglese,  quando, con questa parola, si indicava la resistenza e la tensione che le strutture  metalliche oppongono, se sollecitate da estreme forze esterne. Successivamente  l'utilizzo del termine ha avuto un'ampia diffusione, andando ad assume significati  specifici, in base al contesto in cui è applicato. In termini biologici, lo stress fisiologico,
elaborato da Selye , è visto come una Sindrome Generale di Adattamento, ovvero una costellazione di modificazioni aspecifiche, indotte da stimoli a diversi livelli, che forniscono una valida risposta adattiva al fine di riequilibrare la perturbazione inizialmente instaurata. Nel contesto lavorativo una definizione è stata elaborata dall'Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004, recepito dall’Accordo Interconfederale del 9  giugno 2008; esso assume accezione  più negativa, come l'insieme delle risposte psico-fisiche di allarme, che si verificano quando le richieste  da parte del lavoro non corrispondono e non possono essere soddisfatte dalle capacità, dalle risorse o dalle necessità del lavoratore,. Si  instaura così un circolo vizioso, che porta allo sviluppo di problematiche lavorative e sociali, le quali, inevitabilmente, rafforzano l'impatto degli  “stressors” che le hanno generate e determinano: alto tasso di assenteismo  elevata rotazione del personale  conflitti interpersonali frequenti  infortuni e lamentele  richieste di cambio mansione/settore  disfunzioni o episodi di interruzione dei flussi comunicativi.  Le problematiche di salute del singolo lavoratore che fa fronte a stressori in ambiente lavorativo comprendono:  depressione  malessere generale  malattie cardiovascolari  problemi muscolo-scheletrici  problemi gastrointestinali  disturbi del sonno  conflitti interpersonali e familiari  sindrome da burnout  aumentata mortalità.  Lo stress lavoro-correlato e le statistiche  Stime prodotte dall'Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) nel 2014 rivelano che il 25 %  dei lavoratori “sostiene di  soffrire di stress legato all’attività lavorativa per tutto o per la maggior parte dell’orario di lavoro ed una percentuale simile riferisce che l’attività  lavorativa rappresenta un rischio per la propria salute”, per un costo di circa 25,4 miliardi di euro, registrato nel 2013.  Tale impatto economico è evidenziabile anche attraverso diverse indagini condotte dai singoli stati membri:  nel Regno Unito, l’Health and Safety Executive (Autorità per la salute e la sicurezza) ha calcolato che nel biennio 2015-2016 le  principali cause di assenteismo per malattie professionali sono state stress, depressione e ansia, pari a 11,7 milioni di giorni persi  rispetto a un totale di 30,4 milioni di giornate non lavorate (38%);  in Germania, la relazione del 2015 sulla salute e sicurezza sul lavoro (Sicherheit und Gesundheit bei der Arbeit 2015) ha calcolato che i  disturbi psicologici e comportamentali erano alla base del 14,8% delle giornate perse, secondi solo ai disturbi muscolo-scheletrici,  spesso a loro volta correlati a fattori di rischio psicosociale rappresentando il 22,0%.  Il report “Calculating the cost of work-related stress and psychosocial risks”, che ha racchiuso nella revisione i risultati di studi europei,  canadesi, australiani e statunitensi, ha calcolato l'ingente onere finanziario per le aziende, derivante dallo stress lavoro-correlato e dai rischi  psicosociali, come primariamente dovuto ai costi relativi all'assenteismo, al calo della produttività e all'incremento del turn-over.  Tra i settori che risentono di più dei costi dello stress troviamo:  la sanità, che nel 2009 nel Regno Unito ha registrato una perdita nelle entrate pari a circa 590 milioni di euro;  il settore scolastico che nel 2004, nel Regno Unito, ha perso 26 milioni di euro;  il settore edile con una perdita nel 2012 di 160 milioni di euro in Germania;  la pubblica amministrazione che ha visto una perdita di 2,3 miliardi di euro in Germania nel 2012.   L'EU-OSHA ha pubblicato tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018 la revisione di un'indagine condotta tra l'estate e l'autunno del 2014, in cui sono  stati coinvolte quasi 50.000 aziende di 36 diversi Paesi, tutti i 28 stati membri dell' Unione Europea, i sei candidati (Albania, ex Repubblica  jugoslava di Macedonia, Islanda, Montenegro, Serbia e Turchia) e due paesi dell'EFTA (Norvegia e Svizzera). Tale progetto, che prende il nome  di ESENER 2, ha interrogato il personale sulla gestione dei rischi di salute e sicurezza, in particolare dei rischi psicosociali, come lo stress  legato al lavoro, la violenza ecc.   Dalla relazione si evince che, anche se i rischi tradizionali per la sicurezza sul lavoro sono molto ben affrontati  in tutta Europa, i rischi psicosociali (come carichi di lavoro eccessivi, richieste contrastanti e mancanza di chiarezza sui ruoli) non sono  altrettanto ben gestiti. Secondo le loro ultime stime, infatti, in Europa il 77% delle organizzazioni ha segnalato almeno un rischio psicosociale sul  lavoro e il 41% ha dichiarato di non disporre di strumenti adeguati per la valutazione. Solo il 33% delle imprese UE con più di venti lavoratori ha  dichiarato di aver un piano d’azione per lo stress lavoro correlato, con percentuali maggiori raggiunte da Regno Unito (57 %), Romania,  Danimarca, Svezia e Italia.  L'Italia quindi si posiziona in questa classifica al quinto posto tra i Paesi che meglio hanno risposto al crescere di questi rischi psicosociali.  Questo sondaggio dell'EU-OSHA ha riguardato 2.254 aziende italiane, di cui il 50% ha avviato iniziative per affrontare il fenomeno dello stress  lavoro correlato, risultato superiore  rispetto alla media europea che supera di poco il 30%. Questo dato rappresenta una differenza sostanziale  rispetto all'ultimo report della precedente indagine ESENER nel 2008, secondo cui l'Italia, con il suo 16 ° posto, registrava una percentuale del  20% nello stesso ambito, leggermente al di sotto della media europea calcolata su 31 Stati.  Quest'ultima indagine aveva altresì interpretato i dati per la regolarità della valutazione dei rischi, per cui l'Italia vantava una percentuale di circa  94% delle aziende aderenti (a fronte di una media del 76% nei 28 Paesi dell'Ue), ponendosi al primo posto, insieme alla Slovenia, a livello  europeo. Simili dati positivi riguardano anche l'adozione di documenti sulle responsabilità e procedure per la salute e la sicurezza sul lavoro,  disponibile nel 98% delle imprese del campione nazionale, la formazione dei manager sulla prevenzione, attuata nel 90% delle aziende, e la  presenza dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nell'87% delle imprese, che rappresenta la quota più elevata registrata a livello  europeo.     Lo stress lavoro-correlato e la legislazione  In occasione della stesura del D.Lgs 81/08 e come da indicazione della Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul  lavoro del 17 novembre 2010, pubblicate con lettera Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il 18 novembre 2010, è stato  esplicitato con chiarezza che la valutazione dei rischi lavorativi “deve riguardare tutti i rischi... tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-  correlato, secondo i contenuti dell'Accordo Europeo dell'8 Ottobre 2004”.  Tale legislazione individua la multifattorialità eziologica dello stress e sottolinea, ad esso correlati, disturbi e disfunzioni di natura fisica,  psicologica o sociale, in linea con il più ampio concetto di salute proposto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948, come “stato di  completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o di infermità”, rappresentando la premessa per la  garanzia della tutela dei lavoratori anche attraverso un'adeguata valutazione del rischio stress lavoro-correlato. Questo approccio olistico alla  salute del lavoratore è inoltre sottolineato dall'obbligo posto dalla medesima legge al contesto italiano “ad una apertura rilevante verso  dimensioni della salute poco misurabili, ma non per questo meno importanti rispetto a quella fisica.” L'organo preposto ad effettuare tali  valutazioni sul territorio nazionale, secondo l'attuale legislazione, è l'Istituto Nazionale Assicurazioni e Infortuni sul Lavoro (INAIL)........  Leggi PDF completo 
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